Tempismo

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00.00
"Manuel"
"Shh Simo, questa è la parte migliore"
"Manuel"
Il più grande fu costretto a togliersi una delle due cuffie che stavano condividendo, mentre il film sul piccolo schermo del telefono proseguiva indisturbato
"Che c'è, Simò?"
Erano sdraiati placidamente l'uno contro l'altro su due scomode sedie di metallo, ai loro piedi le valige erano accatastate disordinatamente e nascoste sotto il grande giubbotto di Manuel, come se quel riparo avrebbe fatto passare ai malintenzionati la voglia di derubarli.
I due invece si proteggevano dal freddo sotto il giubbotto di Simone, che l'altro ragazzo aveva giudicato fin da subito come troppo leggero per quelle temperature.
"E se ci addormentiamo?"
"Non ci addormentiamo"
"E se succede?"
"Io rimango sveglio e sto attento per tutti e due"
"Non sei di ferro, Manuel. Può succedere che ti venga sonno"
"Ferro è esattamente ciò che sono"
"Mi dai retta un momento?" sbuffò il piccolo, esasperato dalla paura di rilassarsi talmente tanto sotto il calore che il corpo del suo compagno di viaggio radiava, dal finire con il non svegliarsi in tempo per l'imbarco.
"Simone, dammi retta. Il nostro volo parte alle quattro, tra due orette scarse possiamo già andare ad imbarcare sti macigni, e poi vedrai che il tempo volerà prima di salire in aereo. Non c'è nessuna possibilità che io mi addormenti, fidati di me."
Tra di loro gli auricolari abbandonati continuavano a riprodurre il suono della voce di Edoardo Leo, intento a convincere i suoi compagni a darsi alla malavita.
"Mi ricorda te" Manuel riportò la loro attenzione allo schermo
"Solo perché studiamo le stesse cose, come sei banale"
"Non so, c'avete lo stesso fascino"
"Perché io ho fascino?"
"No, appunto"
"Guarda che mi riprendo il giubbotto"
"Mi avresti sulla coscienza, e non potresti mai vivere senza di me"
Quello che avrebbe voluto replicare il più piccolo era qualcosa di simile ad un "ma se ci conosciamo appena", ma gli sembrò così insensato.
Era chiaro, ormai, che così come fra gli edifici sconnessi del suo campus, li, in quell'aeroporto, il tempo si incrinava, si distorceva e scorreva in maniera differente.
Gli attimi passavano come ore, e le ore come secondi.
I discorsi a cuore aperto che pensava gli avessero impegnato tutta la nottata non avevano che occupato quindici minuti del loro tempo, mentre gli sguardi fugaci che si erano concessi sotto il calore di quell'involucro di pelliccia avevano consumato via intere ore.
Si conoscevano da una vita, e non si conoscevano affatto.
Sapevano tutto l'uno dell'altro eppure non si erano mai vissuti.
Avevano corso insieme, con le mani intrecciate fra le maniglie delle valige, per accaparrarsi quei due posti che una coppietta aveva appena liberato, poi gli avevano abbandonati senza rimorsi per non lasciare che uno di loro si inoltrasse nell'aeroporto a cercare il bagno senza l'altro.
Manuel gli aveva retto lo zaino mentre Simone comprava un caffè per entrambi, ed avevano passato la successiva mezz'ora a lamentarsi di quanto fosse lungo. Poi avevano ritrovato i loro posti, liberi come se gli stessero aspettando, e vi si erano accoccolati sopra.
Non c'era riservatezza in quella posizione, erano testa contro testa, con gli arti che si mischiavano fra loro alla ricerca di calore.
"Simo"
"Shh, guarda il film"
"Simo"
"Mh?"
"È mezzanotte"
Si sentirono due bambini soli, abbandonati e senza una famiglia, se pur sapevano quanto questo non fosse vero.
Era sempre stato quello il prezzo del Natale, tutta quella bellezza non faceva altro che ricordarti le cose che non avevi più.
"Buona vigilia di Natale, Manuel"
"Buona vigilia di Natale, Simone"
Le loro mani si intrecciarono e rimasero così per tutta la durata della mezzanotte.

24 Dicembre, 02.15
Simone dormiva indisturbato contro il corpo del più grande da ormai un'ora.
Nel corso del suo riposo gli si era completamente aggrovigliato addosso, probabilmente nella spasmodica ricerca di calore.
Era così bello accoccolato contro la pancia dell'altro, con le mani che ne stringevano in un pugno il maglioncino, ed il corpo semi nascosto dal giubbotto che avrebbero dovuto condividere.
A Manuel sembrava un peccato capitale doverlo svegliare, avrebbe preferito qualsiasi altra punizione, pur di non doverlo fare.
Si sentiva un imbrattatore di tele davanti ad un opera d'arte, pronto a vandalizzarla.
Per Simone però svegliarsi in quel momento era importante, davanti a loro il cartellone che indicava il volo per Roma annunciò finalmente l'apertura del gate per l'imbarco delle valige.
Manuel non vedeva l'ora di tornare a casa, di abbracciare la sua mamma, di darle il suo regalo e bearsi della sua cucina, ma doveva ammettere che un po' gli dispiaceva rompere l'incantesimo che aveva creato con quel bambinone che gli sonnecchiava contro.
"Simo"
"Ancora cinque minuti, mamma"
"Simo, dai"
Il piccolo passò da strofinarsi pigramente le mani sugli occhi ad un improvviso stato di veglia
"Che ore sono?"
"Le due e quindici, l'imbarco ha appena aperto, io sono rimasto sveglio, siamo ampiamente in orario, è tutto ok e non hai niente di cui aver paura"
In realtà c'erano innumerevoli cose di cui aver paura.
Un viaggio come quello, in un periodo come quello, comportava una serie di rischi e di variabili che a Simone facevano girare la testa solo a pensarci.
"Manuel"
"Ti metti in fila prima di me? Così sto più tranquillo"
"No"
"No?"
"No, sarebbe un disastro, non parlo il francese ed ho bisogno del mio interprete accanto. Ci mettiamo insieme in fila, tanto ormai siamo un pacchetto unico, no?"
Il più grande aiutò Simone ad alzarsi, aveva ancora gli arti addormentati dalla posizione innaturale che aveva assunto, e di cui un po' si vergognava
"Scusa per.." indicò se stesso poi le due sedie, cercando di fargli capire che cosa intendesse
"Per essermi saltato addosso?"
Da sotto la svogliata copertura della mascherina le guance di Simone assunsero un colore rosso così brillante che fu impossibile non notare.
"Non ti preoccupare, Simo. Quando vuoi" e lo stronzo gli fece veramente l'occhiolino, prima di dirigersi verso l'imbarco numero ventisette.

02.35
C'erano quattro persone davanti a loro, e sembravano tutte così organizzate, con tutti i documenti precisamente ordinati fra le mani.
Il vetro che gli separava dalle hostess era imbrattato da un foglio di carta che recitava semplicemente "Plf and Covid test", e fin qui entrambi i ragazzi potevano stare tranquilli.
Prima che Simone si addormentasse avevano controllato di avere sottomano ancora tutti i documenti: quel dannatissimo passenger locator form, che aveva impegnato a entrambi non poco tempo, le carte di imbarco e le certificazioni di negatività.
Simone aveva fatto il tampone solo 36 ore prima, in una farmacia di Nantes, la città universitaria dove studiava, mentre Manuel, che per sua fortuna si trovava già a Parigi aveva fatto quel tampone, con non pochi piagnistei, da meno di 27 ore.
Viaggiare Sicuri, il sito che Simone aveva controllato e ricontrollato incessantemente nella giornata precedente era stato chiarissimo a riguardo: la certificazione doveva essere rilasciata non più tardi di 48 ore dall'imbarco.
Arrivati a quel punto era Manuel ad essere il più nervoso fra i due. Si era seduto sopra la più grande fra le valige di Simone, e la sua gamba non faceva che tremare.
Avrebbe tanto voluto strapparsi via le unghie a morsi, le sentiva sporgere irregolari sotto la pressione delle sue dita, che gli chiedevano soltanto di essere mangiate via, ma purtroppo togliersi la mascherina era fuori questione.
La calma della sua tempesta fu la mano di Simone, che si impose con forza sulla sua coscia, bloccandone completamente i movimenti frenetici.
"È tutto apposto, Manu"
"Che abbiamo fatto, scambio de corpi?"
"Dai, stai tranquillo. Che cosa potrebbe mai succedere?"
"Non dire queste cose Simò che veramente faccio in modo che tu rimanga in Francia per sempre"
"Poi come fai senza di me?"
Da sotto alla mascherina riusciva comunque a captare che qualcosa si stesse muovendo sul viso di Manuel, probabilmente si stava masticando la guancia per il nervoso, il che non doveva essere piacevole.
Allungò la mano libera verso il suo corpo, come in un'offerta di pace.
"Che?"
"La puoi stringere, se ti fa stare meglio"
Le mani gelide si incontrarono in una morsa solida, la violenza di quel contatto strideva con le carezze che i loro occhi stavano posando l'uno sulla pelle dell'altro.
"Chi cazzo t'ha messo sulla strada mia, vorrei saperlo"

02.55
Era passato un minuto da quando l'hostess gli aveva approcciati per il controllo documenti, un minuto nel quale la luce negli occhi di Simone si era completamente spenta.
Manuel in sei mesi non aveva imparato una parola di francese, ma in poche ore aveva capito come leggere, fino al più piccolo dettaglio, il libro aperto che erano gli occhi di Simone Balestra.
Non sapeva cosa stesse andando storto, non sapeva se volesse saperlo.
La voce di Simone era flebile ed agitata, impasticciava un francese che alle orecchie di Manuel arrivava rozzo ed incrinato, nonostante sapesse che il più piccolo poteva parlarlo perfettamente.
La ragazza con cui stava discutendo era austera, irremovibile nelle sue parole, quasi scocciata.
Manuel riuscì a capire soltanto una cosa: gli stava invitando ad abbandonare la fila.
"Simo?" la sua voce venne fuori talmente graffiata che se l'avesse sentita dall'esterno avrebbe pensato di stare per piangere
Gli occhi di Simone puntavano verso il basso, le sue mani invece si reggevano alle spalle del ragazzo più grande, come se lui non avesse la forza di stare in piedi da solo.
"Non possiamo partire, Manu" e riusciva a sentirle, le lacrime che non poteva vedere
"Simo, ma che dici, c'abbiamo tutto, no?"
"No"
"Simo che cazzo dici, ti prego parla o ti giuro mi vado a far investire da un aereo"
"Ventiquattro ore"
"Ventiquattro ore cosa? Che cazzo stai dicendo"
"Serve un tampone di ventiquattro ore, non possiamo entrare in Italia, Manu" e adesso quelle lacrime le vedeva perché Simone cercò finalmente il suo sguardo, ed il dolore che ci leggeva attraverso era così ovvio.
"La legge è cambiata a mezzanotte, noi eravamo già qui, come avremmo potuto saperlo?"
E la capiva, la voce spezzata dal pianto che stava ascoltando, ne capiva il panico, la disperazione, ne condivideva la tristezza.
Il senso di impotenza invase il suo corpo in pochi secondi, e gli bloccò anche le lacrime.
Cosa avrebbero potuto fare? Niente e nessuno al mondo gli avrebbe fatti arrivare a casa in tempo per Natale, aver trovato quel volo era già una condizione miracolosa, ma ora quella condizione giaceva sotto il peso della loro distrazione, e di una burocrazia a cui poco importava di quei due ragazzini romani abbandonati a loro stessi a millecinquecento chilometri da casa, nella notte più fredda dell'anno.

48 ore - Manuel & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora