12.10
Dalle sette di mattina alle sette di sera: quello era l'orario d'apertura del centro analisi che gestiva i tamponi in aeroporto, Manuel l'aveva scoperto mentre cercava di fissare un appuntamento per il giorno successivo.
Si era preso l'onere, nonostante il suo pessimo francese, perché così per lo meno avrebbe potuto fare qualcosa per Simone.
Certo, se avesse potuto anche pagare per lui sarebbe stato meglio, invece si era trovato a dovergli chiedere venticinque euro per potergli far coprire la propria parte.
Non si era mai sentito più umiliato di così.
Avrebbe rinunciato a tutto, anche a bere, pur di pagare la parte del suo compagno, ma cinquanta euro non gli avrebbe potuti tirare fuori neanche se si fosse messo a chiedere l'elemosina.
L'appuntamento era fissato per le undici del giorno successivo, poche ore prima del loro imbarco. Almeno così sarebbero stati assolutamente certi di partire, per lo meno quelle erano le speranze.
Simone lo aspettava fuori dal centro analisi, seduto a quelle panchine in metallo che ormai facevano da sfondo alla loro esistenza, mentre sorseggiava l'ennesimo caffè di quella mattinata.
Non si parlavano da più di un'ora, era chiaro ormai che il più piccolo si fosse offeso per quell'uscita, e Manuel non sapeva davvero come tirarsi fuori da quel disastro.
Era talmente soprappensiero che non si accorse del pavimento umido che lo divideva dal suo obbiettivo, e ci scivolò sopra come uno scemo.
Finì placidamente a scontrarsi contro le gambe di Simone, che sussultò di tutta risposta.
All'improvviso un calore inaspettato si fece strada sulla sua schiena, e no, non era dovuto alla vicinanza con l'oggetto dei suoi desideri.
Quel calore era troppo forte, troppo doloroso è troppo bagnato per provenire da Simone.
Simone che adesso lo guardava dall'alto in basso con le labbra spalancate per la sorpresa
"Scusa, cazzo, scusa, scusa, scusa. Ti fa male?"
L'odore agre di caffè invase le narici di entrambi, e a Manuel l'accaduto fu subito chiaro: il contenuto bollente del bicchierino di plastica di Simone era ormai riversato lungo tutta la sua schiena.
"Cazzo Simò"
"Mi dispiace, ti giuro non volevo" le mani del piccolo tremavano contro la sua schiena, come se avessero paura di toccarlo e fargli ancora più male.
D'improvviso il dolore per Manuel cessò.
Simone gli stava parlando, Simone si stava preoccupando per lui.
Doveva giocarsela al meglio.
"Mi fa male, Simo" piagnucolò contro la sua gamba, che era convenientemente posata poco davanti al suo volto
"Cazzo, immagino, Manu. Quella roba scottava, cristo. Che posso fare? Dimmi che posso fare, sto impazzendo qui"
"Mi porti in bagno? Così mi aiuti a metterci dell'acqua fresca"
"Certo, tu reggiti a me se non ce la fai, alla valige ci penso io"
La traversata lungo l'aeroporto fu lenta, ma almeno per Manuel, fu estremamente piacevole.
Il dolore che provava era affievolito fino a scomparire, gli strati di lana che portava indosso lo avevano protetto dallo scottarsi sul serio, così riusciva a dedicare tutte le sue attenzioni al corpo morbido su cui era poggiato, alle braccia forti che lo sorreggevano mentre allo stesso tempo trascinavano le valige di entrambi.
Poche volte qualcuno l'aveva trattato in quel modo, anzi, forse era sempre stato lui a conservare certe attenzioni nei confronti degli altri, la maggior parte delle volte nei confronti di ragazze.
Si rese conto che le parti inverse gli piacevano di più.
Era dannatamente bello essere coccolati, era bello addormentarsi in braccio a qualcuno, era bello essere svegliati con la colazione, era bello essere sollevati perché leggermente feriti, era bello non dover portare pesi perché c'era qualcuno che lo faceva per te.
Simone lo sollevò di peso, facendolo poi sedere sul lavandino, non appena rivalicato il perimetro del bagno.
I suoi occhi erano diventati così grandi per l'agitazione che a Manuel quasi fecero ridere, e a momenti gli dispiaceva prenderlo in giro in quel modo, ma era così piacevole.
"Simo mi fa la male tutto"
"Dimmi che vuoi che faccia, ti giuro io non saprei dove mettere mano"
"Devi togliermi i vestiti, io da solo non ci riesco."
Certo che ci riusciva, non gli sarebbe costato nulla alzare le braccia per sfilarsi il maglione, anche se sicuramente per pulire tutto via in quel lavandino dell'aiuto di Simone avrebbe avuto comunque bisogno, quindi perché non anticipare un po' i tempi?
Non era forse tutto ciò che facevano?
Manipolavano il tempo per farlo adattare a quella loro buffa realtà, rendevano quella che pensavano essere un agonia, volutamente più lunga di ciò che avrebbe dovuto essere, solo per l'ingordigia di esistere l'uno nella vita dell'altro.
I movimenti del piccolo erano insicuri, probabilmente per paura di fargli male.
Le sue dita lunghe si facevano strada sotto il maglione , prima timidamente, poi con un briciolo di coraggio penetrarono sotto il sottile strato di cotone che faceva da barriera tra la lana e la sua pelle . Tirò tutto via in un movimento deciso, che conservava una calcolata attenzione a non sfiorare neppure per sbaglio quella schiena che si aspettava di trovare ustionata, ma che dal riflesso dello specchio pareva solo un po' arrossata e molto sporca di caffè.
"Manuel ti devi girare, ho bisogno di vedere meglio"
Come sotto incantesimo, il maggiore seguì alla lettera le istruzioni di Simone, ritrovandosi faccia a faccia con lo specchio, incastrato tra il bacino dell'altro ragazzo e la superficie del lavandino.
"Non sembra così grave, credo che lo spavento ti abbia fatto sentire più dolore di quanto avresti dovuto, ma è comunque un po' arrossato" riusciva a vedere i suoi occhi analizzare nel dettaglio le proprie spalle, e spogliarlo più di quanto avessero fatto le sue mani.
"Manu, t'ho chiesto se vuoi che ci metta dell'acqua"
"S-si"
Lo sguardo di Simone smise di puntare alla sua schiena, adesso mirava dritto nello specchio, cercando gli occhi dell'altro.
Le sue mani passavano dall'acqua corrente alla schiena del ragazzo, e più che pulire via il caffè sembravano intente in un massaggio lentissimo.
L'acqua ghiacciata non avrebbe dovuto essere così piacevole, ma accompagnata da quelle dita bollenti colpiva le terminazioni nervose del maggiore in tutti i punti giusti, arrivando a fargli concedere di chiudere gli occhi al contatto.
"Che fai, non mi guardi?" e quella voce sembrava comandare il suo corpo più di quanto facesse il suo cervello stesso.
"Fa ancora male?" il suo torturatore decise di chiedere
"Un pochino"
I loro sguardi non si lasciarono andare neppure in quel momento, sembravano uniti da una forza gravitazionale troppo forte per poterla combattere.
Simone si chinò a lasciare un bacio sul punto più arrossato di quelle spalle
"E adesso?"
"No, adesso sto bene"
"Pare essere la cura per ogni male, questa"
Il piccolo si portò la punta delle dita sopra le labbra, come a volerle indicare, e Manuel non poteva che dargli ragione.
Avrebbe sopportato qualsiasi dolore pur di essere sfiorato ancora una volta da quelle labbra.
"Resta con me"
"Sono qui"
"Non dico adesso, dico sta notte, resta con me. Non ti serve una camera d'hotel, non serve a nessuno di tutti e due. Ci bastiamo noi, ci basta questo posto"
"Manuel" non si stavano guardando più, suonava come un pessimo segno "Io avrei già prenotato una camera"
Il maggiore si limitò ad annuire mentre la magia intorno a loro si volatilizzava in una frazione di secondo.
"Capisco" il groppo in gola era troppo pesante per essere mandato giù
"È la prima volta in vita mia che annullo una prenotazione, lo sai?"
Cosa?
"Come?"
"Non posso fare altrimenti, no? Siamo un pacchetto unico, io e te"
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48 ore - Manuel & Simone
Fiksi PenggemarDi come il tempo si è piegato e lacerato per far spazio a due ragazzini persi, e di come quei due, ignari di tutto, non hanno fatto altro che remarvici contro. [Sfortunatamente tratto da una storia vera.]