POV: Manuel
Spengo la moto alle 19:37 in punto. Dopo essere uscito di casa e aver girovagato per un'ora e mezza dentro tutta Roma, mi sono ritrovato, senza neanche rendermene conto, nei pressi di una collinetta dietro al Colosseo. In quel luogo, più di tre anni fa, la mia classe del Liceo Da Vinci aveva piantato un albero di mandarino malandato. Mesi dopo, ero tornato in quel punto esatto, meravigliandomi di come si fosse ripreso. Mi recai lì dopo aver lasciato Simone partire per Glasgow: avevo sorriso alla vista della pianta rigogliosamente rifiorita. In quel momento, ricordo che il mio cuore, sebbene avessi detto addio alla persona a cui tenevo di più al mondo, si alleggerì a poco a poco, poiché in quello sbocciare avevo visto la possibilità di rifiorire che avevo concesso a Simone, lasciandolo partire e mantenendo fede alla promessa di metterci "più amore".
Ogni tanto, nei periodi più difficili, durante gli ultimi due anni del liceo, ero solito tornare in questo luogo per rivedere quell'albero e convincermi di aver fatto la cosa giusta, quasi come a darmi la forza di non prendere il primo volo per Glasgow e riportare Simone qui.
Senza mai ammetterlo ad alta voce, la scelta di non partire era anche dovuta alla speranza che, prima o poi, sarebbe stato lui a tornare a Roma, non in vacanza, ma per restare, magari al mio fianco.
Quella speranza, col passare dei mesi, andò man mano affievolendosi. Simone si era ricostruito una vita: ogni tanto mi capitava di sentire le telefonate tra lui e il padre, e le successive domande che mia madre poneva a Dante, dopo che questi aveva chiuso la chiamata.
"Sì, sta bene."
"Con la squadra di Rugby c'è stato un po' di attrito all'inizio, ma poi ha saputo integrarsi."
"Il migliore in matematica di tutta la classe, ti rendi conto? Sono così fiero."
Queste, e altre, erano le frasi che più di qualche volta, mi ritrovavo ad origliare: senza farmi notare, come quelle notti in ospedale, appizzavo le orecchie per sentirmi vicino a lui, in un modo un po' insolito.
Finita la scuola, la speranza che potesse definitivamente tornare era pari a zero: ascoltavo sempre meno le conversazioni e le chiamate, per evitare di farmi del male. Quando capitava, ero assalito da un senso di inadeguatezza, insoddisfazione e tormento. Dopo la maturità, infatti, ero indeciso se continuare gli studi o fuggire anch'io da Roma, da tutto ciò che mi ricordasse Simone: scelsi la prima, un po' per mancanza di coraggio, un po' per mia madre, un po' perché, dentro di me, non ho mai smesso di aspettarlo.
Durante l'ultimo anno, però, è stato sempre più difficile convivere con la sua assenza, presente in ogni circostanza.
Scuoto la testa, mentre riaccendo la moto e parto spedito verso un'unica direzione. Il vento caldo attraversa i ricci che fuoriescono dal casco, mentre asciuga qualche gocciolina di sudore che scivola ai lati della nuca. Dopo una decina di minuti, arrivo a destinazione: parcheggio le due ruote a ridosso del marciapiede ed estraggo il telefono dalla tasca della giacca di jeans, per aprire WhatsApp e cercare una conversazione. Dopo averla trovata, digito sulla tastiera un messaggio veloce:
- "Sei a casa?"
La risposta non tarda ad arrivare.
- "Perché? Devi nascondere un cadavere?"
Il sarcasmo di Carola fa inarcare gli angoli della mia bocca all'insù.
- "Mi aiuteresti se dicessi di sì?"
- "Sali."
Entro nell'atrio del palazzo, valicando il portone verde scuro coi battenti dorati. Salgo di fretta le scale, saltando un gradino ad ogni falcata per arrivare il prima possibile al terzo piano del condominio.
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Non siamo su binari diversi: tu sei il mio binario ~ Simuel.
Любовные романыAVVERTENZE: Questa storia è la continuazione della FF Non c'è un finale ~ Simuel. dal testo: "Vibrano maligne sul mio cuore queste catene: Più di un'occasione per potermi liberare. Agli antipodi di Houdini, in tutta questa confusione, Perdonami, f...