Eros e Pan

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"Lì è dove ho fatto il mio primo pezzo come Pan" mi dice mentre camminiamo uno di fianco all'altro lungo il vialetto sterrato che costeggia un vecchio edificio fuori dal paese, immersi nella luce dorata del tramonto e assuefatti dalla voglia di stare ancora insieme, che ci ha spinti a passeggiare fino a qui senza neanche renderci conto dei chilometri macinati.
"Dove?" gli chiedo, un filo di voce e una sigaretta tra le labbra.
"Là" e mi indica un palazzo tutto bianco, al di là del muro alla nostra sinistra. "Al cancello" precisa.
"Ah. E scusa... com'è che ti tagghi così?" gli domando quindi, vago. A togliermi una curiosità che ho da quando mi sono imbattuto nel suo profilo per la prima volta.
"Innanzitutto Pan è il Dio della Natura... e non è male" mi spiega lui, paziente. "E poi mi piace che la gente non gli abbia mai dedicato un tempio. Lo si adorava tra gli alberi, nelle grotte... E è quello che vorrei fare io. Con i miei pezzi" aggiunge. La semplicità di un bambino.
"Ah quindi non volevi solo un nome d'arte per fare il figo" commento.

E lui mi risponde sfacciato, un mezzo sorriso a labbra strette.

"Anche quello"
"Ah. Ecco" e lo indico con la mano. La sigaretta tra l'indice e il medio. "Sii sincero, no, perché io in quanto Dio dell'Amore non mi sarei mai cagato un Fabio qualsiasi" dico, e le mie parole provocano una leggera risata da parte sua, che lo costringe a voltarsi verso di me e sorridermi sul viso.
"Eros e Pan, eh?" ribatte, complice.
"Già"
E subito inizia a frugarsi nelle tasche in cerca del cellulare, su cui - appena lo trova - inizia a digitare qualcosa.
"Come immaginavo..." commenta quindi porgendomelo. "Una ditta di sconcerie da duemila anni a questa parte"

E quella che vedo sullo schermo è l'immagine che la ricerva su Wikipedia propone dei nostri nomi fusi insieme: il Dio dell'Amore e una divinità selvatica - rappresentata come un uomo con le zampe da capra - fusi in un unico abbraccio. Un po' come noi poco fa nel cesso dell'Università, insomma. Solo che lui sembra tutt'altro che una capra, ed io... tutt'altro che un Dio.
"Con la barba... non stai neanche male"
rido io. "Sono le zampe da capra che... non mi convincono"

E lui sta al gioco e sorride.

Riprende il cellulare.
"Sicuro?" mi dice.

"Mh mh. Però conosco un sacco di pastori che la pensano diversamente. Sai, mia sorella aveva..."
Ma non mi lascia finire la frase, che interrompe con un brusco "Scusa un attimo" portandosi subito dopo il cellulare all'orecchio e facendomi dimenticare all'istante quello che stavo dicendo. Poco male, dal momento che sembra non fregargli niente.

"Ehi..." lo sento mormorare - con fin troppa dolcezza - a qualcuno dall'altra parte del telefono.

E in un attimo sento salire il sangue al cervello.

Non tanto per il gesto in sé, di cui sicuramente neanche è consapevole, quanto per l'improvvisa consapevolezza che quel gesto dà a me.
Eccone un altro che ha una vita privata in cui non vuole coinvolgermi,
penso. Un po' come Antonio che, ogni volta che suonava il cellulare, correva da Vanessa come se non avesse appena finito di fare l'amore con me.
"Eh sì... eh... ti avevo detto che finivano oggi..." lo sento farneticare.

E la sua voce è già lontana, anche se lui è ad un passo da me.
"Eh son qui al cotonificio, manca un pezzo e hanno finito" dice, mentre il senso di inadeguatezza mi fa mangiare le unghie.
"Perfetto... allora io vi aspetto qui, voi non dimenticate le bocce e gli stencil nuovi, quelli che stanno sul tavolo"
Ed è sempre più lontano.
"Va bene..."
ride. "Okay allora me ne lasciate un pezzo e lo mangio quando torno"

Sempre di più.

"Ciao. Ciao ciao ciao" si affretta a chiudere la telefonata, e poi torna a guardare me.
"Vedrai che figo se viene come ce l'ho in mente" mi dice.

Ed è tranquillo. Di una tranquillità che se possibile mi fa incazzare ancora di più.

Perché non lo capisco. Perché improvvisamente mi sento di troppo. Estraneo alle cose che dice, a quelle che fa, alla somma dei minuti che fanno la sua giornata e di cui improvvisamente sono consapevole di essere solamente una parte. Neanche troppo rilevante, a quanto pare.

"Mh. Ciao" lo liquido allora, alzando il mento e dandogli le spalle un attimo dopo.
"Dove vai?" mi chiede.
E la sua domanda, paziente e fatta con un filo di voce come sempre, mi costringe a voltarmi piano, per rispondergli guardandolo in faccia.
"Mi hai fatto lasciare il motorino all'Università" gli spiego. "Già così arrivo a casa fra due ore"

E poi non vorrei rovinare i tuoi piani per la serata, artista.
Ma lui non desiste.

"Devi per forza tornarci, a casa?" mi chiede facendo un passo verso di me, come fa ogni volta che sta per baciarmi.

"Sì. Gli artisti non fanno per me" mi giustifico.

E cerco di mascherare così la mia incazzatura.

"Ah... non si direbbe" mi sussurra serio, a pochi centimetri dal viso. E l'unica cosa che si direbbe in questo momento è che sì, sta per baciarmi.
"Tutti troppo pretenziosi... Io sono un ragazzo semplice"
Lui non risponde. Ripete solamente "Ragazzo semplice..." facendomi il verso, quindi si passa la lingua tra le labbra e - senza staccare gli occhi da me e con un gesto deciso - mi afferra il polso e mi tira su la manica quanto basta per scrivermi sulla pelle il suo numero con un pennarello nero. E mentre lo fa, non smette di indagarmi coi suoi occhi bellissimi e sottili, che posa sul mio viso contrito impedendomi di rimanere serio ancora a lungo.
"Se cambi idea..." commenta poi, liberandomi della sua stretta dolcissima. E abbassando gli occhi sul mio braccio, per la prima volta studio le cifre che compongono il suo numero e la sua calligrafia perfetta. Con cui mi ha appena marchiato la pelle, ma questi sono dettagli.
"Potevi scrivermelo sul cellulare..."
lo rimprovero, serio.

"Mi dispiace" soffia lui sbattendomi delicatamente il pennarello sulle labbra e fiondandosi su queste un attimo dopo.

Gesto, quest'ultimo, che se fossimo stati da soli non avrei esitato ad approfondire, ma che in questa situazione - con gli operai alle nostre spalle - mi costringe per istinto a staccarmi con violenza e ad allontanarlo. Il che, tuttavia, non lo stranisce. Tanto che, prima che gli dia definitivamente le spalle, lo vedo posarsi due dita sulle labbra e mandarmi un bacio al volo.


Quanto è strano, questo Fabio.

Non lo capisco, eppure sembra essere l'unico a sapere come prendermi.

A volte ho la sensazione che non abbia peso.

Che venga da lontano, e che lontano presto o tardi tornerà.

Come una piuma che ti sfiora il naso mentre cammini.

E non sai da dove viene. E non sai dove andrà.

Forse è proprio questo che lo rende così affascinante ai miei occhi.
La sua inafferrabilità.
Il suo mistero.
E quella sfacciataggine di chi non ha niente da perdere.

Perfetti || Eros + FabioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora