capitolo 11

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Nel silenzio della sua stanza, Yeonjun chiuse lentamente il diario. Le parole scritte a mano tremavano come il suo cuore.

Caro diario,
perché l’ho fatto?
Beomgyu... Beomie... era così ingenuo, così puro.
Quando l’ho toccato, si è irrigidito. Non ha ricambiato i baci. Non mi voleva.
Mi ha respinto. Ora mi odia.
E io lo capisco. Perché cazzo l’ho fatto?

Appoggiò la fronte sulle ginocchia e sussurrò a se stesso:
«Che coglione che sei, Choi.»

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Intanto, a qualche chilometro di distanza, Beomgyu infilò il casco in fretta e accese la moto. Doveva solo lavorare. Non pensare. Non ricordare.

Arrivò al bar con un’ora d’anticipo, accolto dal capo che sembrava sollevato.
«Grazie, Choi. Siamo a corto di personale oggi, due camerieri a casa con l’influenza. Ci salvi tu.»

Beomgyu abbozzò un sorriso forzato e si mise subito al lavoro.
Perfetto. Nessuno mi parla, nessuno mi tocca, nessuno mi guarda. Solo vassoi e bicchieri. Solo clienti da servire.

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A casa, Yeonjun scese le scale e trovò sua madre seduta sul divano come una regina in attesa di giudicare.

«Quel ragazzo è andato via di corsa. Cos’è successo?»
«Doveva lavorare.»
«Non se ne va così, uno che si sente a casa.»

La cameriera lo osservava, in silenzio, ma poi si intromise.
«L’hai fatto spaventare.»

Yeonjun si bloccò. Sospirò.
«L’ho quasi... costretto. Non volevo, ma ho esagerato.»

Sua madre si alzò, il volto teso.
«Hai rovinato la tua immagine—»
«Basta!» sbottò Yeonjun. «Piantala con questa cazzo di immagine! Ho fatto male a una persona. L’ho ferito due volte. Non mi interessa la reputazione, adesso.»

Uscì di casa senza aspettare risposta. Prese il telefono e cercò l’unica persona che poteva aiutarlo: Huening Kai.

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«Tu... hai FATTO COSA?!» esplose Kai al telefono.
«Non è come pensi. Non l’ho forzato fino in fondo... ho solo...»
«“Solo”? Yeonjun, gli hai fatto paura! Beomgyu non è come te. Non ha le tue sicurezze, non ha i tuoi privilegi. Quello che per te è un gioco, per lui è un trauma.»
«Io... non so cosa mi è preso. Credevo di provare qualcosa, ma—»
«Tu lo ami, Yeonjun? Perché se non lo ami, se non sei sicuro... allora è stato solo egoismo.»

Ci fu un lungo silenzio.

Poi Kai, con voce più fredda:
«Lavora al Bramè, centro città. Ma ti avverto: se lo fai stare ancora male, io con te non ci parlo più.»
Yeonjun abbassò la testa.
«Non lo farò. Lo giuro.»

Arrivò al Bramè dopo poco, nervoso, il cuore che batteva all’impazzata. Il locale era pieno, ma tra la folla lo vide.
Beomgyu, in uniforme, si muoveva veloce tra i tavoli, servendo clienti come se la giornata fosse iniziata normalmente. Ma c’era qualcosa nei suoi occhi: uno sguardo spento, distante.

Yeonjun si avvicinò al bancone.
«Una coca, per favore.»

Beomgyu non alzò lo sguardo.
«Sto servendo altri cinque. Aspetta.»

Solo dopo diversi minuti, il più piccolo tornò da lui.
«Lattina o bicchiere?»
«Bicchiere.»

Beomgyu riempì il bicchiere con movimenti meccanici, poi lo porse senza guardarlo in faccia.
«Tenga.»

«Baby... perché tutti questi modi formali?» chiese Yeonjun con un sorriso triste.

Beomgyu si bloccò. Alzò lentamente lo sguardo.
Solo allora lo riconobbe.
«Yeonjun...?»

«Sono venuto a chiederti scusa.»

«Se pensi che basti la tua faccia per farti perdonare, ti sbagli di grosso. E non chiamarmi baby.»

Yeonjun annuì. «Hai ragione.»

Beomgyu si voltò. Il viso impassibile.
«La prima volta ti avevo dato una possibilità. Ma l’hai distrutta. Ora beviti la coca e non disturbare. Sto lavorando.»

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Quella sera, Yeonjun rimase lì fino alla chiusura. Non disse più nulla. Si limitò a guardarlo da lontano, mentre Beomgyu si muoveva nel locale con la solita grazia.

E ogni volta che gli occhi dei due si incrociavano per caso, Beomgyu li distoglieva subito.

Era così dolce prima, pensò Yeonjun stringendo il bicchiere vuoto.
Ora mi guarda come se fossi uno sconosciuto.

E forse, lo stava diventando davvero.

gyu_teddybear

~hell // yeongyu Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora