Ama stare seduto ad osservare le nuvole, soprattutto perché quegli strani batuffoli bianchi lo riempiono di curiosità. Pensa che sia come avere uno spettacolo davanti agli occhi giorno e notte. Esse prendono sempre una forma differente a seconda di chi le guarda e dall'umore dello spettatore. Manuel vi aveva scorto spesso figure sempre differenti: variavano da creature immaginarie i cui nomi si inventava sul momento; ma c'erano anche oggetti comuni, come un cuore a simboleggiare l'amore o un quadrifoglio a portare fortuna. Era tutto nel cielo, bastava solo guardare. Ed è proprio per quello che forse, quella notte in particolare, non fa altro che vedere volti tristi e cuori spezzati. Le nuvole sembrano prendersi gioco di lui. Loro, che sono uno dei suoi passatempi preferiti, che non l'avevano mai tradito, ora non fanno che ridere della sua situazione. E il cielo non è meno infame: le stelle non c'erano mai, perché Roma è una città in cui l'inquinamento luminoso non ti permette di vederne nessuna, ma la Luna solitamente splende alta nel cielo. Quella notte invece non riesce a vederla da nessuna angolazione. Le sue amate nuvole continuano a nasconderla dal suo sguardo. Il collo inizia a fargli male e lo abbassa, deciso a concentrarsi sull'unica cosa che avrebbe potuto dargli un po di soddisfazione. Il Colosseo, illuminato e senza turisti (d'altronde chi mai sarebbe andato li alle tre di notte?), solo pochissima gente scatta foto e cammina rapida probabilmente verso il proprio albergo. Manuel sospira, e quel respiro si condensa davanti a lui nel freddo di metà novembre. Si ritrova a pensare che con la neve sarebbe stato uno scenario meraviglioso, ma di rado si vedono quei fiocchi gelati. Si porta la mano, fasciata dal guanto, alla tasca interna del giubbotto e prende una sigaretta. Quando la fiammella dell'accendino gli balla davanti, quel poco che gli basta per accendere, gli piace la senzazione del fuoco sul viso gelato. Prende una bella boccata di fumo. Inspira ed espira. Non ama particolarmente fumare, ma a volte, in situazioni veramente difficili, lo trova rilassante. Il suo modo per distendere i nervi insomma. Principalmente non lo fa perché quella puzza infastidisce Irene, che...ma si blocca, perché qualunque ricordo legato a lei fa troppo male. Non ci prova neanche a trattenere una lacrima. Da quel pomeriggio non ha fatto altro che vagare per la città, provando in tutti i modi a non pensare. E ci era riuscito, almeno fino a quel momento. Aveva spento il cellulare per non ricevere chiamate o messaggi da lei e ora ha il terrore di accenderlo di nuovo. Manuel si conosce troppo bene. Sa che avrebbe richiamato Irene, ascoltando le sue scuse, nonostante ciò che ha fatto non si può spiegare. Perciò non vuole rimanere da solo con la sua testa. Tuttavia quel destino sembra inevitabile: la gente è sempre meno, sono andati via anche tutti quelli che solitamente cantano a squarciagola gli stornelli romani; per strada le macchine hanno cessato di passare, solo qualche rado motorino a inquinare l'aria con lo smog; non ci sono più neanche tutte quelle coppiette che spesso e volentieri camminano, mano nella mano, sotto al Colosseo e diretti al Cuppolone. Fa un sospiro, provando, almeno, a non rievocare le immagini. 'È come una tortura' si ritrova a pensare.
"Scusa, che hai da accendere?" Manuel si volta di scatto, rischiando di cadere dalla panchina sulla quale ha passato le ultime ore. La voce, che ha un accento americano, appartiene ad un bel ragazzo stagliato davanti a lui. Ha dei capelli rossi e ricci e due occhi verdi da mozzare il fiato; sembra alto più o meno come lui, forse leggermente di più; sorride gentilmente e Manuel rimane a guardarlo imbambolato. Deve ammettere che con le maniche della camicia bianca arrotolate fino ai gomiti, i pantaloni e le scarpe eleganti, la giacca sulla spalla, sia davvero un bel ragazzo. È vestito tutto il contrario di lui, che invece porta cappotto lungo, sciarpa e guanti. Si ritrova a pensare se l'altro non abbia freddo, ma non sembra tremare. Anzi, è come se fosse a proprio agio. Nota che il ragazzo sorride con più insistenza e si rende conto di essersi bloccato a fissarlo.
"Oh...come scusa?"
"Ti ho chiesto se hai da accendere."
"S-si." Manuel si mette a cercare nelle tasche della giacca, i guanti che gli sembrano ingombranti ora. Appena trova l'appiccio, lo accende mettendo una mano davanti alla fiammella. Quando guarda di nuovo il ragazzo dagli occhi verdi, si accorge che si è già accomodato accanto a lui, ben attento a non sfiorarlo, e si è portato la sigaretta alle labbra. Manuel si sporge leggermente verso di lui per accendere. Quando lo fa sente un profumo da uomo molto dolce, probabilmente di quelli che lui non si potrebbe permettere neanche con un anno di stipendio. Si allontana subito dopo che vede il fumo uscire dalla bocca dell'altro. Torna a guardare il Colosseo davanti a se, mentre il ragazzo non sembra intenzionato ad andare via. A Manuel viene quasi da ridere, dovrebbe ringraziarlo per avergli dato altro a cui pensare.
"Va tutto bene?" Domanda di nuovo quella voce dall'accento americano. Al moro si tingono leggermente le guance, probabilmente il rosso si è accorto che qualcosa non va.
"So che non dovrebbero essere fatti miei...ma conosco la storia di due uomini che si incontrano per la prima volta su un treno. Non si sono mai visti e, forse con la consapevolezza che non si rivedranno mai più, entrambi confessano i loro segreti l'uno all'altro. Vogliono tutti e due uccidere la moglie e decidono di aiutarsi a vicenda. Sono sicuri che la polizia non scoprirà mai gli assassini, perché tra i due uomini non c'è nessun legame." Fa una lunga pausa in cui prende boccate di fumo. Manuel ascolta le parole non comprendendone il significato, la sigaretta ormai quasi consumata è al limite.
"Con questo cosa vuoi dire?" Non si guardano, entrambi fissano un punto vuoto davanti a loro.
"Che potresti raccontarmi cosa c'è che non va, io ti parlo di un mio problema e magari possiamo aiutarci a vicenda. Avresti la consapevolezza che le tue parole rimarrebbero solo tra te e un semplice sconosciuto." Ma Manuel non se la sente di raccontare della giornata più brutta della sua vita. Neanche Totò conosce tutta la storia. L'ha chiamato il pomeriggio e può solo immaginare cosa l'amico abbia capito, confuso e impanicato com'era. Non gli era neanche andato di vederlo. Gli avrebbe fatto un sacco di domande e a Manuel non era andato di rivivere di nuovo quell'inferno.
"D'accordo, inizio io." Dice lo straniero quando nota che il ragazzo accanto a lui non è troppo in vena di collaborare. Lui invece non vede l'ora di sfogarsi con qualcuno.
"Ho litigato pesantemente con i miei genitori per due motivi principali. Sono venuto qui in Italia per studiare quando loro avrebbero preferito avermi a casa per aiutare mio padre con la fattoria in Canada. Sono l'ultimo di quattro figli maschi, quindi per loro non c'era bisogno che continuassi gli studi. In famiglia abbiamo già il laureato, quello che si è trovato un buon lavoro e una buona moglie e chi è andato via di casa per cambiare stato. Mancava solo quello che sarebbe dovuto rimanere, appunto, alla fattoria. Ma hanno sbagliato figlio. Quello rinchiuso con i porci e le vacche non sarò di certo io! E per fortuna c'è mia zia, che praticamente è come una madre per me, che si è offerta di pagare i miei studi a Roma. Senza di lei non avrei proprio saputo come fare." Lo straniero fa un pausa, dove probabilmente inspira l'ultima boccata di fumo. Poi Manuel lo vede con la coda dell'occhio gettare l'ormai mozzicone per terra. Si guarda attorno per vedere se, da qualche parte, ci siano altri ragazzi vestiti eleganti come quello seduto accanto a lui. Ma alle tre di notte i ristoranti sono chiusi da un pezzo. E trova strano anche che, nonostante sia così tardi, il rosso non sia ubriaco marcio. Ma poi ci pensa meglio e si convince che non tutti bevono quando hanno pessime giornate. Lui avrebbe potuto bere fino a sentirsi male, eppure non aveva toccato una goccia d'alcol, perché non gli piaceva la senzazione del dopo-sbronza. Non credeva che ne valesse la pena. E forse quel ragazzo la pensava al suo stesso modo.
"E il secondo motivo?" L'altro si volta verso Manuel con aria smarrita.
"Come?"
"Hai detto 'per due motivi' quindi presumo che ce ne sia un altro." Lo straniero non resiste e si lascia sfuggire un sorriso. Manuel si volta e lo guarda di sfuggita, non può negare che così non sia davvero bello.
"Allora mi stavi ascoltando." Il moro si schiarisce la voce, imbarazzato dalla presenza del rosso.
"Si bhe...n-non che avessi molto altro da fare."
"Facciamo che io non te lo dico se prima non mi racconti perché sei così disperato. Deve essere un dare e un ricevere." Ma Manuel si ritrova a sbuffare. Non ne ha parlato con il suo migliore amico, figurarsi raccontarlo ad uno sconosciuto.
"No, non so neanche come ti chiami. Posso usare il tuo telefono? Il mio si è scaricato." Mente. L'altro lo tira fuori dalla tasca dei pantaloni, facendo tintinnare un paio di chiavi, e glielo porge. Manuel lo prende e compone il numero di Totò che ha ormai imparato a memoria. Si fa un po più lontano sulla panchina, pur rimanendo vicino al rosso. Non vuole che il ragazzo ascolti la sua telefonata, ma sa di non potersi allontanare troppo da lui: in fondo potrebbe essere un ladro e scappare alla prima occasione buona. Spera con tutto se stesso che Totò risponda, nonostante siano le tre passate. Nota che lo sguardo dello straniero è posato su di lui, probabilmente si starà chiedendo chi potrebbe chiamare ad un'ora così tarda. Però, appena si accorge di essere stato beccato, si affretta a guardare il Colosseo davanti a se. Manuel lo imita. Dopo cinque squilli inizia a perdere la speranza, dopo sei è tentato di attaccare e finalmente dopo sette sente la presenza dell'amico dall'altro lato del telefono.
"Pronto?" Ha la voce impastata dal sonno e Manuel si sente un po in colpa perché probabilmente lo ha appena svegliato. Lo immagina nel buio della sua camera, seduto sul letto a passarsi una mano sul viso per scacciare il sonno.
"Totò sono io!" Lui riconosce subito chi è lo straniero che si è permesso di chiamare in piena notte. Solo lui lo chiama Totò, per il resto del mondo sarà sempre Sasà.
"Manuel! Che bello sentirti, ero così preoccupato! Puoi dirmi cosa cazzo è successo ora?" È come se improvvisamente tutto il sonno di pochi secondi prima fosse sparito in un attimo.
"Ora no, ma presto si. Te lo giuro. Posso dormire da te?"
"Certo. Lo sai che sul mio divano c'è sempre scritto il tuo nome sopra. Dove sei?" Manuel lo conosce così bene, che sa perfettamente che Totò sta sorridendo. Anche se non lo ammetterebbe mai, non gli dispiace prendersi cura dell'amico quando questi non sta bene.
"Sono al centro, davanti al Colosseo. Ma non ti preoccupare posso pren..."
"Sto arrivando." E chiude la chiamata senza che Manuel possa aggiungere altro. Sospira e da il telefono al proprietario.
"Grazie." Passano del tempo in silenzio. Il moro rabbrividisce sotto il vento gelido. Si trova a osservare l'altro, con le braccia nude e la giacca ancora su una spalla. Fa anche un pensiero inappropriato: sarebbe stato bello se lo straniero si fosse piegato verso di lui per porgergli quella stessa giacca che non usa, come succede nei film. Ma loro non sono in un film ed entrambi restano fermi. È il rosso che parla per primo dopo minuti di silenzio.
"Newt."
"Come scusa?"
"Hai detto che non conosci il mio nome, ecco, la gente mi chiama così, Newt." Manuel si gira e lo guarda, non ha capito a pieno quelle parole.
"Significa che non è il tuo vero nome?" Newt sorride.
"No, il mio vero nome è Isaac. Ma non mi piace, quindi uso il diminutivo di Newton. Sai, Isaac Newton." E incredibilmente, nella testa di Manuel, sembra avere senso. Non dicono più niente finché il suono di un clacson molto vicino fende l'aria fredda di Roma.
"È arrivato il mio amico. Devo andare, Newt." Gli piace pronunciare quel nome. È come se avesse una strana consistenza sulla lingua. Qualcosa che non si può spiegare a parole, la si percepisce e basta. Manuel si alza e controlla di aver preso tutto, ma prima che possa raggiungere la macchina di Totò, lo straniero (anche se forse non lo è più poi tanto) dice un'ultima cosa.
"Sai, forse hai fatto bene a non rivelarmi anche tu il tuo segreto. In quello scritto alla fine gli assassini vengono catturati: la polizia riesce a rintracciare i loro biglietti e vedere che effettivamente non erano degli estranei, si conoscevano." E con la stessa aria misteriosa con cui era arrivato, se ne va.
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6.725 Km
RomanceManuel è disperato quando vede la sua, ormai ex, ragazza a letto con un altro uomo. Non è facile per nessuno uscire da una relazione durata cinque anni e Manuel non è da meno. Ci vorrà un ragazzo straniero venuto da poco in Italia, ma che ha un'otti...