Capitolo 2.2 - Una questione di onore

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Il viaggio fu un incubo. La vergogna, il continuo tentativo di nascondersi dalle occhiate della gente e la paura di quello che stava per succedere lo resero tale. Avrebbe dovuto capire che suo padre non avrebbe mai lasciato correre un danno d'immagine così grande. Il treno correva veloce, lasciandosi alle spalle gli splendidi edifici della zona più fiorente dell'Impero, e con essi le feste, le belle ragazze e tutti gli agi a cui Byron era sempre stato abituato, a cui non era disposto a rinunciare. Seduto in modo scomposto sul suo sedile, guardava fuori dal finestrino, rimuginando sugli eventi accaduti e spremendo invano le meningi per trovare una soluzione. Non era mai stato un tipo riflessivo, ma in quel momento non sapeva proprio come comportarsi. Aveva paura, e le lacrime premevano per uscire. No, non poteva piangere, non con tutta quella gente intorno.

Aveva perso tutto quello che aveva e le poche persone a lui care. Dei genitori non gli era mai importato nulla: suo padre teneva solo a sé stesso e alle sue ambizioni personali, mentre sua madre era una donna volubile e capricciosa, totalmente incapace di mostrare affetto ai figli. Ma c'era una persona che Byron non avrebbe mai voluto abbandonare, ed era suo fratello Oliver. Erano diversi come il giorno e la notte, ma Byron gli voleva bene più di quanto ne volesse a chiunque altro.

Frugò in tutte le tasche, sperando di trovarci, accartocciato, uno dei disegni che il fratellino gli regalava e che lui spiegazzava distrattamente e infilava dove poteva, ma constatò con amarezza che erano vuote. Che stupido era stato! Non aveva dato importanza ai regali che suo fratello gli faceva con tanto impegno quando era il momento, e ora avrebbe fatto di tutto per avere anche solo un piccolo ricordo di lui. E invece non aveva più niente. Scoppiò a piangere per la frustrazione, coprendosi il volto con le mani. Era possibile che non ne combinasse una giusta?

Il treno arrivò a destinazione dopo ore di viaggio, e il trambusto dei passeggeri svegliò improvvisamente Byron, che non si era nemmeno reso conto di essersi addormentato. Si stiracchiò, e il dolore al collo e alla schiena gli fece capire che dormire in quella posizione era stata una pessima idea. Guardò fuori, per capire in quale posto in capo al mondo si trovasse: doveva essere al confine con la Colonia del Nord, a giudicare dal freddo e dall'abbigliamento delle persone. Ovvio, suo padre lo aveva mandato nel luogo più inospitale dell'impero, e senza nemmeno lasciargli portare abiti adatti al clima. "Bastardo", pensò Byron. Non voleva scendere da quel treno. Voleva tornare a casa.

Fu in quel momento che la rabbia di Byron, prima sovrastata dallo sconforto, iniziò a farsi sentire.

«Scusa, puoi riportarmi indietro? Io non dovrei essere qui.» disse al macchinista. Era un cyborg di categoria B, come si poteva capire dal braccio metallico in bella vista che lo differenziava dai servitori cyborg dei Lamont: essi infatti erano costruiti in modo da sembrare umani nell'aspetto, era segno di prestigio.

«Ragazzino, muoviti a scendere, io non ho tempo da perdere.»

«Cos'è questo tono di sufficienza? Sai chi sono io?» ribatté, innervosito. Non tollerava una mancanza di rispetto del genere, soprattutto da parte di un cyborg.

«Sì, ho sentito qualche notizia, e mi pare di capire che ora non sei proprio più nessuno.» disse il macchinista, con un tono annoiato.

«Mio padre ha dato di matto! Ho bisogno di parlare con lui, perciò riportami indietro!»

«Te lo ripeto per l'ultima volta, scendi. Io devo ripartire.» disse il macchinista. Guardava Byron negli occhi, ma senza rabbia, con il tono spento di chi sta solamente eseguendo il proprio dovere.

«Riparti, allora.» rispose Byron, senza alzarsi dal suo posto.

«Che c'è, B-908? Lo stronzetto viziato non scende? Vuoi che ce ne occupiamo noi?» disse qualcuno da giù.

«Scendi, o dovrò farlo intervenire sul serio.» disse poi il macchinista.

«Io non ho intenzione di...»

«Clarke!» chiamò il cyborg.

Byron vide un uomo piuttosto nerboruto salire sul treno e afferrarlo per la giacca. Non era la prima volta che rischiava di essere coinvolto in una rissa, ma in qualche modo era sempre riuscito a cavarsela. Quella volta, invece, sentiva che non avrebbe trovato facilmente una via d'uscita. «Voi nobili siete un branco di bastardi. Credete che tutti debbano sempre fare quello che dite.»

«Lasciami!» urlò Byron, cercando di liberarsi dalla presa dell'uomo. Non l'avrebbe mai ammesso, ma era spaventato.

Clarke non lo ascoltò, e lo strattonò fino alle porte del treno, mentre lui si dimenava senza successo. «Ehi, dico sul serio, amico, basta! Scendo da solo!»

L'uomo lo spinse giù e Byron si ritrovò a terra tutto dolorante. Sentì tutte le persone intorno a lui ridere e gli occhi farsi di nuovo umidi per la rabbia e l'umiliazione. Il punto in cui Mitchell lo aveva colpito aveva ripreso a sanguinare e il dolore era insopportabile.

«Ehi, che c'è, ora frigni? Sei patetico.» disse Clarke, colpendolo con un calcio. Da lì in poi furono pugni, calci e sputi, senza che Byron riuscisse a fare nulla per difendersi. Supplicava di smetterla con la poca voce che gli restava, sovrastata dagli sbeffeggiamenti e dalle risa. Poi si sentì una voce dal tono diverso dalle altre, più gentile.

«Potreste smetterla, per favore?»

Angolo autrice

Ciao, innanzi tutto mi scuso per il ritardo nella pubblicazione delle ultime parti. So che sono lenta, ma purtroppo è un periodo un po' pieno per me. Ci tengo a ringraziare chiunque stia proseguendo con la lettura e apprezzando questa storia! Un ringraziamento speciale va a chi addirittura mi dà qualche consiglio (apprezzatissimo) su come migliorare. Detto questo, per ora preferite Gray o Byron?

Sono curiosa, chi vuole lo scriva nei commenti!

Alla prossima!

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