Capitolo 3.1 - Una nuova realtà

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«Potreste smetterla, per favore?»

Gray si sentì ridicolo. La sua voce veniva sovrastata con estrema facilità dalle urla e dagli insulti che quegli uomini continuavano a rivolgere al figlio del conte. Eppure non era sicuro che alzando la voce non si sarebbe messo nei guai. Avrebbero potuto prendere di mira anche lui. Forse doveva lasciar perdere: si sarebbero calmati da soli, prima o poi. Guardò il ragazzo steso a terra: piangeva, sanguinava e supplicava, ma nessuno degli aggressori sembrava ascoltarlo. Dicevano che fosse il figlio del conte Lamont, eppure non gli assomigliava per niente: Gray aveva visto il conte in TV o sui social, e gli aveva sempre messo i brividi; quel ragazzo, invece, sembrava una persona normale.

Gray si avvicinò. Aveva ancora un tono incerto, però sentiva di dover fare qualcosa. «Smettetela, vi prego.»

«Su, su, levati, ragazzo. Se parli con quel tono non ti ascolteranno.» disse qualcuno. Gray si voltò verso la persona che aveva parlato: sembrava un ufficiale, ma Gray non sapeva riconoscere il grado. Si fece largo tra le reclute per poter parlare direttamente con l'uomo che aveva iniziato la rissa. «Vi consiglio di non creare scompiglio il primo giorno. Come sapete, le regole dell'Impero valgono anche qui. Comportatevi come si deve, o ci saranno conseguenze.»

Usò un tono di voce alto, per farsi sentire, ma tranquillo: non c'era collera nelle sue parole. Gli aggressori si zittirono, e alcuni di loro si fecero da parte. Anche Clarke, dopo aver lanciato uno sguardo di sfida all'ufficiale, desistette dall'impresa. L'ufficiale si allontanò senza dire nulla, e iniziò a indicare ai nuovi arrivati la strada da prendere per arrivare al campo di addestramento. Era accompagnato da dei sottoposti, armati e in divisa, che scortavano le nuove reclute.

Gray si piegò e porse la mano a Lamont per aiutarlo a rialzarsi. «Tutto bene?»

Sperò con tutto il cuore che nessuno notasse quel piccolo gesto, o sarebbe potuto finire nei guai.

«No, cazzo, mi fa male tutto.» Il nobile prese la mano che Gray gli porgeva e si rialzò a fatica, lamentandosi per il dolore. «Grazie.»

«Dovresti cercare di non metterti nei guai. Qui non ti difenderà nessuno.»

Gray seguiva la direzione in cui tutte le nuove reclute si stavano muovendo, e Lamont gli stava dietro.

«Me ne sono accorto, sai?» Il figlio del conte sfregava le mani contro le braccia, nella speranza di ottenere un po' di calore. «Certo che qui si gela!»

«E chi l'avrebbe mai detto che vicino alla Colonia del Nord ci fosse freddo...» Gray accelerò il passo per distanziarlo, sperando che quel ragazzo trovasse qualcun altro da importunare. Gli avrebbe sicuramente creato problemi.

«Beh, non ho potuto prendere niente, quando sono partito. Quel bastardo mi ha fatto andare via solo con quello che avevo addosso. Tanto a lui non frega niente.» disse Byron, e Gray guardò verso di lui sorpreso. Pensò a come si sarebbe sentito se i suoi genitori lo avessero cacciato in quel modo, senza preoccuparsi di cosa gli sarebbe successo, e si sentì in colpa per aver cercato di allontanare una persona che doveva già sentirsi sola per proteggere sé stesso. Forse Gwen aveva ragione quando gli diceva che era altruista solo finché gli conveniva.

«Comunque mi chiamo Byron.»

«Sì, ho sentito che parlavano di te, sei il figlio del conte Lamont.» disse Gray, e rallentò il passo, notando che Byron lo seguiva a fatica. Forse quegli uomini non avevano fatto in tempo a rompergli le ossa come avrebbero voluto, ma l'avevano ridotto piuttosto male.

«No, sono Byron e basta. Non uso più il cognome di quello stronzo.»

A Gray pareva che poco prima, sul treno, stesse proprio tentando di farsi riportare indietro usando il nome di "quello stronzo", ma non lo disse ad alta voce. Supponeva che il modo in cui si era conclusa la faccenda gli avesse fatto cambiare idea.

«Io mi chiamo Grayson, ma puoi chiamarmi Gray.»

Una volta arrivati, Gray e Byron si trovarono in un campo deserto, in una folla di reclute, che attendevano in un silenzio quasi surreale: dovevano aver ricevuto un ordine. Il posto era spoglio, deserto: qualche albero brullo si intravedeva in lontananza, ma la vegetazione era costituita per lo più da cespugli secchi. Sembrava che con quel gelo nient'altro fosse destinato a sopravvivere a lungo. Per un attimo Gray fu preso dallo sconforto: sarebbe rimasto in quel posto per anni, probabilmente, e non sarebbe riuscito a rivedere i suoi genitori. Provò un moto d'invidia per Byron: da quel che gli aveva detto, non aveva abbandonato persone a cui teneva. Lo guardò per un attimo, e si accorse che cercava di nascondere il suo viso sotto il cappuccio, forse per vergogna dei lividi, o forse perché temeva un'altra aggressione. Nemmeno lui avrebbe avuto vita facile lì in mezzo. Eppure entrambi avrebbero dovuto abituarsi.

In mezzo al mucchio, Gray riconobbe l'ufficiale che aveva fermato il pestaggio di poco prima. Lo vide fermarsi di fronte alla schiera di reclute.

«Se siete in questo particolare distretto è perché avete commesso crimini contro l'Impero...» disse l'ufficiale.

Byron sembrò indignarsi. «Io non ho commesso alcun crimine contro l'Impero!»

Gray fu preso dal panico, e cercò di fermarlo con i gesti prima che finisse la frase, ma l'altro lo ignorò. Non capiva proprio quando era il momento di tacere?

L'ufficiale si voltò verso di loro, e Gray volle sprofondare. Probabilmente lo aveva visto arrivare con Byron: doveva avergli fatto una pessima impressione. Sperò soltanto che fosse clemente.

Il militare fece qualche passo, fino a fermarsi davanti a Byron. Il nobile, seppur intimorito, sostenne il suo sguardo. «Come ti chiami?» Aveva sicuramente sentito il suo nome, poco prima. Quella domanda aveva chiaramente un altro scopo.

«Byron»

«Bene, Byron. Non ce l'hai un cognome?»

«No. Sono stato diseredato.»

«Da tuo padre, il conte Lamont. Lo stai diffamando dicendo che ti ha ripudiato ingiustamente, per caso?»

«Lui è...»

Gray lo interruppe, sperando che la smettesse di peggiorare la sua situazione. «Vuole dire che è una persona corretta e lo ha esiliato per una sua colpa. Vero, Byron?» disse, lanciando all'altro ragazzo uno sguardo eloquente. Byron annuì.

L'ufficiale gli lanciò uno sguardo veloce. «Chi ti ha dato il permesso di parlare?» Stranamente, sembrava più sorpreso che arrabbiato.

Gray rispose nel modo più educato che conosceva. «Nessuno, signore. Scusi. Non si ripeterà.»

«Ottimo. Sei molto più disciplinato del tuo amico.» L'ufficiale sembrava soddisfatto della risposta. «E tu, a terra. Flessioni.»

«Cosa? Oh, ma andiamo, ha visto come mi hanno ridotto prima, mi fa ancora male tutto!»

L'ufficiale si avvicinò ancora di più a Byron, che non ebbe il coraggio di indietreggiare, e lo guardò con furia. «Per caso ti è sembrata una richiesta?»

Byron si mise in posizione e iniziò a fare le flessioni. Ad ognuna il suo viso si contraeva in una smorfia di dolore. «Quante ne devo fare?» disse, con tono lamentoso.

«Finché non ti dico di fermarti.» rispose l'ufficiale, e poi tornò nella sua posizione davanti a tutti e continuò con il suo discorso come se non fosse mai stato interrotto.

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