CAPITOLO 1 -𝐋'𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐞-

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La vendetta e l'odio sono dei sentimenti così belli a modo loro e sai perché? Perché rendono l'essere umano imprevedibile; si tormenta, si interroga e si ingegna per raggiungere il suo scopo in modo ossessivo il quale una volta ottenuto lo priva di tutto, lo priva della sua stessa esistenza.

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Ed eccomi nuovamente qui, dinanzi a questa porta senza poter fare nulla; entro consapevole del fatto che dovrò rivivere tutto questo ancora e ancora. Mi distesi sul letto attendendo l'arrivo di Iris.

<<Sei pronta?>> la sua voce rimbalzò per la spoglia e ammuffita stanza poco dopo, giungendo chiara e dolce alle mie orecchie.

Con un cenno di capo acconsentii preparandomi a rivivere tutto ciò che stava per accadere. Una donna sulla cinquantina, nonché direttrice dell'orfanotrofio, entrò in camera invitandoci a seguirla sino al suo datato studio dove ad attenderci vi era un esile uomo ben vestito.

Iris impaurita mi prese d'istinto la mano ed io non potei far altro che stringere la presa per infonderle un minimo di sicurezza.

L'anziana signora ci fece sedere su due sedie di fronte ad un tavolo cosparso da documenti ingialliti e stropicciati, in armonia con l'immobile pieno di graffi e chiazze di inchiostro, apprestandosi poi a parlare; evitai di ascoltarla poiché il discorso oramai l'avevo imparato a memoria; 

la mia attenzione piuttosto venne catturata da quell'uomo, quel lurido e schifoso essere che ci fissava come due pezzi di carne da macello; il freddo metallo che componeva parte della sua mandibola si intonava con il suo abito scuro che a sua volta era in contrasto con ciò che restava della sua secca, rigida e cinerea pelle. 

Tutto ciò mi fece accapponare la pelle e ribollire il sangue.

Dopo quegli interminabili minuti l'uomo firmò qualche documento e la direttrice ci raccomandò di seguirlo, augurandoci una buona vita; un sorriso amaro sfuggì dalle mie labbra. 

Uscite dall'orfanotrofio la mano tremante di Iris era ancora nella mia, rimanendovi fino a poco prima di entrare nell'auto dell'uomo dove mi rivolse uno sguardo felice ma al contempo impaurito, io di rimando serrai con forza le labbra accennandole un amaro sorriso. Il tragitto fu fin troppo breve, me lo ricordavo più lungo ma alla fine poco importava.

Scendemmo lentamente verso quello che tra poco si sarebbe rivelato essere un orribile inferno voluto da un vile e perfido destino.

La celata e infossata scalinata ci indirizzò verso un lungo e freddo corridoio adornato da vecchi cavi pendenti ormai inutilizzati, in cui pezzi sparsi di metallo e vetro ne riflettevano gli smorti colori. Non un spiraglio di luce naturale passava in quel gelido e sperduto luogo.

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