Capitolo 3 - Disappear and reappear

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POV: VINCENZO

Emanuele era impegnato a spacchettare degli scatoloni contenenti dei biscotti, mentre io ero seduto dietro la cassa.
Non facevo altro che pensare al nostro ultimo scambio di battute.
Non avevamo più parlato ed io non avevo il coraggio di chiedergli spiegazioni.
Davvero mi trovava carino?

Vincenzo basta farti film. Vi siete appena conosciuti... puoi per una volta evitare di fantasticare per niente?

Sapevo di dover smetterla di rimuginarci, ma ero un campione di film mentali.

Comunque, la serie tv che si stava venendo a creare nella mia testa, venne interrotta dall'apertura delle porte scorrevoli del minimarket.

«Buon pomeriggio»

Mi ridestai dai miei pensieri quando udii il proprietario del minimarket entrare e rivolgerci un buon pomeriggio, che io ed Ema ricambiammo all'unisono.

Il capo era un ragazzo un po' più grande di me, poteva forse avere 25 anni. Comunque, era molto più giovane di quanto io avessi immaginato prima di conoscerlo.
Occhi azzurri e biondo, ma probabilmente era tinto, visto che alla radice il colore dei capelli era castano. Ed era alto, molto alto.
E soprattutto dovetti ammettere a me stesso che fosse un bel ragazzo.

Si chiamava Simón, ci eravamo presentati due giorni prima, quando ero appena arrivato e avevo dovuto prendere servizio in negozio.
La prima volta che l'avevo visto, avevo immaginato che avesse una fila di ragazze dietro.
Si trattava di un pregiudizio, ma evitare di farmi idee - a volte anche sbagliate - sulle persone, non era sicuramente il mio forte.

«Come procede? Tutto bene fin'ora?», domandò Simón, appoggiandosi con una mano alla cassa, proprio davanti a me.
«Qui tutto ok» risposte Emanuele, che adesso invece era impegnato a spacchettare dei pacchi di patatine che, in un secondo momento, avrebbe riposto sugli scaffali appositi.

«Tutto ok anche per me», risposi.

«Sono venuto per prendere della farina. Serve al cuoco dell'hotel per fare le pizze», spiegò Simón con fare sbrigativo. Forse andava di fretta.

«Certo, quanti pacchi?» domandai.
«Sei, per favore» mi rispose dopo averci riflettuto qualche istante.
Stavo per andare a prendergli la farina, ma Emanuele mi precedette, allora io ne approfittai, curioso com'ero, e mi avvicinai al capo.

«Ma in che senso il cuoco?», chiesi.
«Ah?»
«Che significa che la farina serve al cuoco per fare le pizze?»
«Che domanda è? L'italiano lo conosci, si?»
Che sgarbato.
Ma perché cazzo non sapevo mai spiegarmi chiaramente?!
«Si, scusa... intendevo dire, ma il cuoco è solo uno?», cercai di spiegare, in imbarazzo.
Quando le persone non mi capivano, mi sentivo stupido.
«Certo, e quanti ne volevi scusa?», Simón accennò una risatina che mi fece sentire ridicolo.
«Semplicemente mi chiedevo come fa una sola persona a cucinare per così tante persone»
«Ce la fa eccome, tranquillo. L'importante è che mangi, che ti frega?»
Ma che cavolo di risposta era...
Che cafone, pensai.
«Ok, scusi...»
Simón sbuffò, incrociando le braccia al petto, infastidito dalle mie domande, e nel frattempo arrivò Ema con i sei pacchi di farina richiesti, riposti in una scatola di cartone.
Li poggiò sulla casa, io ne presi uno e lo battei selezionandolo 6 volte.
«Sono 6 euro e 54 centesimi», esordii, riponendo il pacchetto di farina che avevo battuto di nuovo nello scatolo di cartone.
«Ecco», Simón mi porse i soldi, ed io in cambio gli diedi lo scontrino.
«Ci vediamo dopo ragazzi», concluse, prendendo tra le braccia lo scatolone contenente i pacchi di farina.

Emanuele tornò alla sua mansione, ed io, che restai al mio posto dietro la cassa, osservai Simón andarsene.
Varcò la porta scorrevole e fece qualche passo in avanti.
Poi, fece un saltello su se stesso e... sparì?!

Cherry (Dei Tropici)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora