Prologo

15 3 0
                                    

00.

Nonostante fosse una giornata d'estate, il sole aveva deciso di restarsene nascosto. Il cielo era stranamente pieno di nuvole come ormai non accadeva da settimane, che erano state un susseguirsi di caldo e brezza marina che varcava la finestra e profumava la casa. Era una delle estati più belle che avessi mai vissuto e non potevo che esserne felice. E poi la mia famiglia, le persone più importanti della mia vita e a cui la mia vita apparteneva, erano con me. Non potevo chiedere nulla di più.
Io e Brad, mio marito, avevamo deciso di trascorrere i mesi estivi interamente a Santa Barbara, in California. Era parecchio insolito per noi passare un lasso di tempo superiore ad un mese nello stesso posto. Solitamente, ogni mese, sempre nella stessa data, prendevamo un volo, un treno, noleggiavamo un'auto che ci portava in qualche posto nuovo, poco conosciuto, estraneo alla vita mondana. Fin dalla nascita di nostro figlio, quello era l'unico modo che avevamo trovato per proteggerlo e l'unico modo per proteggere noi stessi. Non era facile per nessuno: non potevamo avere amici, non potevamo lavorare, il piccolo non poteva stare con altri bambini, dovevamo nascondere i nostri veri nomi. Vivevamo come dei fuggiaschi senza aver fatto nulla, senza avere colpe. Ma mio padre ci dava la caccia per trascinare me, e così mio figlio, in un circolo criminale che non sarebbe finito mai. Se non fosse stato per mia madre e per la sua protezione che ci aiutava a vivere e ci permetteva ogni nostro spostamento, non so che fine avremmo fatto.
Quell'estate però, approfittando della calma degli ultimi mesi, avevamo deciso di non spostarci e di passare l'intera stagione in un unico luogo, in quella cittadina di mare tranquilla, per permettere a nostro figlio di vivere, almeno per una volta, l'estate che avrebbe vissuto qualsiasi altro bambino di quattro anni.
Le giornate erano sempre le stesse, eppure a noi, così poco abituati alla normalità, sembravano ornate di straordinarietà sotto ogni più piccolo punto di vista: alzarsi la mattina, fare colazione nel terrazzino con fiori sempre freschi e pancake pronti nel piatto, ascoltare il rumore delle onde e osservare il blu del mare, ridere tutti insieme, guardare il mio bambino correre libero sulla spiaggia, saltare in acqua e sentirgli chiedere il permesso per giocare con qualche altro bambino. Tutto questo riempiva il cuore mio e di mio marito di una gioia che avevamo smesso di provare da anni. Sapevamo che avremmo dovuto iniziare di nuovo il nostro viaggio all'inseguimento della libertà fra qualche settimana, ma volevamo goderci tutto il calore che il sorriso di nostro figlio ci regalava. Lo stesso sorriso che, in realtà, in qualunque luogo del mondo ci trovassimo, non andava mai via, sempre così pieno di vita, d'allegria, di gioia, d'amore per chiunque incontrasse. Proprio per questo, nonostante la vita che eravamo consapevoli di dover fare, fin dalla sua nascita c'eravamo promessi di dargli qualcosa che non gli sarebbe dovuto mancare mai: l'amore. Mio figlio sarebbe dovuto crescere colmo d'amore e di felicità, e il suo cuore ne sarebbe sempre dovuto essere pieno fino a scoppiarne affinché qualunque cosa ci avrebbe riservato quella vita difficile e sporca, lui non se ne dimenticasse mai.
Quel giorno restammo in spiaggia fino a sera, io seduta sulla battigia e gli uomini della mia vita a correre e giocare sulla sabbia. Stringevo il cellulare fra le mani, aspettando la solita chiamata della settimana da parte di mia madre che ci aggiornava sul da farsi e sulla situazione generale. Era il momento peggiore perché sapevamo che se ci avesse detto di andare, avremmo dovuto prendere tutto di fretta e scappare, ancora. Darci il consenso di restare fermi tutto quel tempo non era stato facile, per lei. Era pur sempre un rischio.
Motivo per cui ci chiamava sempre da una scheda telefonica usa e getta o da un telefono pubblico,
stava attenta ad ogni movimento per evitare che mio padre la scoprisse, perché non poteva assolutamente succedere nulla del genere. Né lui né le persone per cui lavorava dovevano sapere alcunché su di noi e, soprattutto, su nostro figlio.
Non c'era telefonata in cui non mi chiedesse del bambino, di descriverle come fosse diventato, di che colore fossero i suoi capelli, di come sorridesse, a chi somigliasse. E mi si struggeva il cuore. Avrei tanto voluto farle conoscere suo nipote e avrei tanto voluto che lui conoscesse la nonna.
Mentre io mi perdevo fra i miei dubbi, le mie paure, e quello che di certo avrei voluto da una vita diversa, vidi Brad avvicinarsi mentre il bambino, ormai stanco di correre, aveva deciso di sedersi sulla sabbia.
<<Ti vedo un po' turbata>> notò, sedendosi affianco a me.
<<Un po'. Sto aspettando la telefonata di mia madre.>>
<<Sarà impegnata o magari non sarà riuscita a trovare il tempo. Non è facile neanche per lei,
Summer.>> Mi avvolse un braccio attorno alle spalle e mi attirò a sé.
<<Lo so>> sospirai.
<<Guardalo come gioca sereno, è bellissimo>> allungò la mano verso il bambino, indicandolo. Guardai le spalle di mio figlio e pensai al suo futuro, a chi sarebbe diventato, a quanti errori e
quante scelte giuste avrebbe fatto prima di diventare il grande uomo che ero sicura sarebbe stato. Poi, però, mi lasciai distrarre dalle sue mani piccole e paffute che affondavano nella sabbia e riemergevano, e capii che la mia vita, per quanto complicata fosse, mi aveva fatto un dono meraviglioso.
Un piccolo scorcio di sole spuntato dietro le nuvole stava quasi del tutto scomparendo dietro il mare, e il cielo iniziava a sfumare dall'azzurro all'arancio. Chiusi per qualche minuto gli occhi, godendo della brezza marina che mi scompigliava i capelli e profumava di salsedine. Avrei voluto restare in quel luogo per tutto il resto della vita.
Ma la mia vita venne distrutta un secondo dopo.
<<Summer, figlia mia, devo dire che mio nipote ha i tuoi stessi occhi.>>
Mi si fermò il cuore. Così, dal nulla, fui quasi sicura di sentire il mio battito arrestarsi e la paura prendere il sopravvento. E anche il vento, la brezza, il mondo, parevano essersi bloccati, pietrificati.
Mi girai immediatamente, seguita da Brad che, a differenza mia, aveva gli occhi ricolmi di odio e non di timore. Alle nostre spalle trovammo l'unica persona al mondo che non avremmo mai più voluto vedere: mio padre, accompagnato da altri cinque uomini i cui volti non lasciavano molto su cui fantasticare.
<<Cosa diavolo ci fai qui?>> ringhiò mio marito.
Mio padre si mise a ridere. La stessa risata meschina che avevo sentito ogni giorno della mia vita, quella che mi aveva cresciuta, odiata, con la stessa pesantezza delle mani che mi avevano punita. Guardai subito verso mio figlio e, protettiva come una leonessa di fronte ai suoi cuccioli in pericolo, corsi verso lui che, spaventato e con gli occhi pieni di lacrime, si fiondò fra le mie braccia chiamando
il mio nome. Lo strinsi a me, cullandolo, cercando di calmarlo.
<<Quel moccioso sarà l'erede di tutto ciò che ho creato, non posso mica lasciartelo portare via così
solo perché tu hai deciso di sposare un verme qualsiasi e scappare>> lanciò un'occhiata disgustata a Brad. <<Pensavi davvero che non vi avrei trovati? Ho solo impiegato più tempo del previsto. Tu e tua madre siete state piuttosto brave, ve lo concedo.>>
<<Cosa hai fatto alla mamma?!>> urlai.
<<Assolutamente nulla. Quale punizione migliore di chiuderla in casa e dirle che sarei andato a prendere te e il suo adorato nipotino>> sorrise sadico.
<<Sei spregevole.>>
Si abbassò per farsi più vicino e mi afferrò il mento con la mano. <<Ho anche altri pregi>> disse, per poi allontanarsi e fare cenno ai suoi uomini di venire alle nostre spalle.
<<Il bambino non c'entra assolutamente nulla!>> gridò Brad.
<<Adesso tu e tuo figlio tornerete a casa con me>> continuò, ignorando mio marito su cui rivolse lo sguardo un attimo dopo. <<E lui direi che ha vissuto già abbastanza.>>
Due degli uomini di mio padre si avvicinarono, bloccarono mio marito dalle spalle e un attimo dopo il rumore di uno sparo fece sobbalzare me e mio figlio a cui tappai istintivamente le orecchie. Vidi Brad cadere a terra, portare le mani sulla coscia sanguinante, guardarmi e perdere i sensi.
Mi girai verso mio padre con la vista appannata da lacrime, rabbia e dolore.
<<Ti odio!>> urlai infuriata, disperata, impotente e senza una via di fuga.
<<Non hai nulla di nuovo da dirmi?>> rise e si avvicinò ancora. <<Credo sia arrivato il momento
che tu e tuo figlio salutiate tuo marito>> sussurrò.
<<Mai>> risposi. Poi gli sputai in faccia.
Si pulì, disgustato ma quasi...divertito. Poi guardò i suoi uomini. <<È mia figlia, signori>> alzò le
mani al cielo, sogghignando. <<Beh, allora direi che è giusto accontentarla, che ne dite? Porterò con me solo mio nipote.>>
Uno degli uomini alle spalle di mio padre venne verso di me. Strinsi più forte il mio bambino e mi guardai intorno: ero circondata. Ma prima che potessi pensare ad una qualsiasi via d'uscita, un uomo lo strappò dalle mie braccia e, contemporaneamente, un altro mi afferrò e mi buttò a terra, accanto a mio marito. E il vento, d'improvviso più forte, riempì quel luogo delle mie urla, mentre guardavo mio figlio allungare le braccia verso di me e chiamarmi disperato.
Mio padre si piegò sulle ginocchia e mi guardò. <<Ti ho dato l'opportunità di continuare ad avere tuo figlio, di vederlo crescere, ma hai fatto la tua scelta.>>
Senza aggiungere nient'altro, si alzò da terra, si girò di spalle e si allontanò.
<<Ash, mamma e papà ti ameranno sempre!>> urlai, guardando i suoi occhi verdi per l'ultima volta.
Poi ci fu un altro sparo e non vidi più nulla.


#Spazioautrice

Salve a tutti, sono Cece! 

Ho scritto Frantumi D'Avorio parecchio tempo fa e non ho mai avuto il coraggio di fargli vedere la luce del sole. Credo sia arrivato il momento di fargli respirare l'aria di chi, oltre me, può divertirsi (o disperarsi) a leggerlo un po'.

Mi piacerebbe davvero tanto leggervi, avere i vostri pareri, critiche, giudizi, scleri (perché no?). 

Io sono qui, sempre presente!

Vostra, Cece.

Frantumi D'AvorioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora