Hotel, 09:15 p.m.
Restai completamente immobile mentre i suoi passi si facevano sempre più lontani fino a sparire dentro l'ascensore. Non mossi un muscolo, non mi girai a guardarlo. Non riuscivo a crederci. Non poteva essere lui il nuovo presidente. Sentivo le mani completamente sudate, la pancia attraversata da brividi che risalivano fino al petto e alla schiena. Quelle parole, e la presunzione con cui le aveva pronunciate, mi avevano innervosita. Scusarsi sarcasticamente di avermi lasciata ad aspettare un'ora perché aveva qualcun altro con cui divertirsi, mi aveva fatta sentire meno di niente di fronte ad una persona di cui sapevo solo il nome. E non perché me lo avesse detto lui. Non direttamente almeno. Non mi aveva dato neanche la possibilità di replicare a ciò che aveva detto, lasciandomi solo la sensazione del suo respiro sul mio collo e quell'odore persistente di ciliegia. La mia mente riproduceva ogni singola parte del suo viso e si bloccava sempre sui suoi occhi, verdi e gelidi. Non avevo percepito nient'altro, come se fra noi due ci fosse stato un muro invisibile che non mi consentiva di andare oltre. L'idea di poterlo incontrare di nuovo in giro per l'hotel mi dava la nausea. Era l'uomo per cui lavoravo, ma speravo con tutto il cuore che l'indomani mattina prendesse il primo volo e andasse il più lontano possibile da qui. E da me.
Mi incamminai verso l'ascensore, coi pensieri fissi su di lui e sulla chiacchierata fintamente amichevole che avevamo appena avuto. Non mi aveva riconosciuta dalla voce, sapeva benissimo chi fossi fin dal principio. Aveva deciso di rivolgermi la parola solo per darmi fastidio, probabilmente. Non mi sarei aspettata altro, dopotutto, da un soggetto del genere. Era stato un incontro di qualche minuto, eppure mi sentivo esausta, nervosa, e scossa come se avessi passato tutta la serata con lui.
Cercai di non pensarci troppo, chiamai l'ascensore e aspettai che arrivasse. Le porte si richiusero per l'ennesima volta in quella giornata interminabile. Volevo solamente scappare a letto e non pensare a nulla almeno fino all'intervista dell'indomani.
Cacciai fuori un sospiro stanco e l'ascensore suonò il mio arrivo a destinazione. Il corridoio era completamente vuoto e silenzioso, nonostante non fosse esageratamente tardi. Probabilmente avevano approfittato tutti della giornata libera per uscire e passare la serata fuori. Per quel che ne sapevo, anche Dalya sarebbe uscita con Harry e Sawyer, mia fotografa personale ai concerti. Solitamente mi aggregavo alle loro serate: si andava insieme a bere qualcosa, si faceva una passeggiata, si rideva tanto, e si tornava a casa più carichi di prima per gli impegni dei giorni successivi. Ma per evidenti ragioni, quella sera non era stato possibile. E sinceramente, dato il mio umore, era meglio così.
Presi la card d'accesso alla stanza e la passai davanti al sensore della porta. Lanciai le scarpe in un angolo senza troppa attenzione e mi lasciai cadere a peso morto sul letto. Non avevo neanche la forza di spogliarmi e mettere qualcosa di comodo per dormire. Pazienza, avrei sgualcito un po' il vestito. Trascinandomi, spostai le coperte e mi ci raggomitolai sotto. Allungai una mano verso il comodino affianco al letto e afferrai il telecomando della televisione. Non avevo intenzione di guardarla davvero, mi avrebbe soltanto tenuto compagnia. L'idea di dormire sola non mi era mai piaciuta, fin da piccola, ma lo avevo sempre fatto senza troppi problemi. A casa di zia non avevo la televisione in stanza e dormivo abbastanza serenamente, ma spesso cercavo qualche scusa per dormire con April o far venire Dalya da me, nonostante abitasse nella casa accanto. Per non parlare di tutte le volte in cui sgattaiolavo nel letto di zia Elise.
Lasciai il televisore acceso su un canale a caso, posai il telecomando dopo aver dato un minimo di volume e mi girai di fianco, verso le grandi vetrate che davano sulla città ancora completamente illuminata. Era davvero raro per me andare a dormire così presto. Non ero mai stata una grande dormigliona, preferivo impiegare il tempo in un altro modo. Fosse stato per me, avrei abolito il sonno. Eppure, quella sera dormire mi sembrava l'unica cosa piacevole da fare.
"Quindi si pensa che l'omicidio abbia dietro motivazioni riguardanti incentivi quantità di droga, giusto? Una trattativa finita male, la potremmo definire. Mi corregga se sbaglio."
Mi girai verso lo schermo della tv. Era il telegiornale della sera. Mi soffermai sul titolo in sovrimpressione: "Omicidio avvenuto all'interno di una gioielleria a Sacramento. Si pensa ad uno scambio di droga finito male".La rapina era avvenuta il giorno stesso.
Si sentivano storie del genere in continuazione e, per quanto terrificanti fossero, ci si faceva l'abitudine. Difficilmente i notiziari diffondevano notizie felici, e quella giornata mi aveva già stremata abbastanza. Spegnere la televisione era improvvisamente diventata l'idea migliore.
Mi posizionai di fianco con le mani sotto al cuscino, dando le spalle alle luci della città. Dopo una buona mezz'ora, mi resi conto che dormire sarebbe stato più difficile del previsto. Avrei potuto chiamare Dalya e chiederle quando sarebbe tornata, ma non mi sembrava il caso di rovinarle una delle poche serate libere che aveva. Non mi sembrava neanche il caso di chiamare zia Elise. A Londra sarebbero state le cinque del mattino, l'avrei fatta preoccupare inutilmente.
Afferrai il telefono da sopra il comodino e iniziai a dare un'occhiata ai social. Ero tempestata di notifiche ovunque e da messaggi che mi arrivavano da ogni angolo del pianeta terra. Fan, lavoro, impegni, cose da organizzare, c'era di tutto. Se avessi avuto il tempo di farlo, sarebbe stato un piacere rispondere a tutti, ma si trattava di milioni di messaggi e non mi sarebbe bastata una giornata intera. A volte, però, mi piaceva andare a guardare in giro cosa il fantastico mondo di internet dicesse di me. In quei quattro anni avevo scoperto di essere fidanzata con gente che neanche avevo mai visto, di avere parenti di cui non sapevo il nome, e di avere caratteristiche fisiche di cui non mi ero mai accorta. Era uno dei lati più insopportabili di ciò che ero: il gossip. Le riviste non finivano mai di inventare qualcosa di nuovo che mi riguardasse, o di dire cosa stessi facendo in quell'esatto momento di quella giornata senza che io avessi divulgato niente. Erano loro a decidere se stessi bene o male, se avessi una relazione o meno, se mi fossi ubriacata la sera prima o fossi rimasta seduta sul divano. E il mondo intorno, come sempre, si affidava a ciò che leggeva, aspettando che io dicessi la mia. Parlare della mia vita privata, però, non era uno dei miei migliori hobby e, a meno che non si andasse fuori dal tollerabile, stavo zitta e lasciavo il mondo fantasticare su ciò tutto ciò che volesse.
Bloccai lo schermo del cellulare e lo riappoggiai sul comodino, sentendo finalmente le palpebre pesanti.
Poi un forte rumore di vetro in frantumi mi fece sobbalzare e scattare fuori dal letto.
Non proveniva dalla mia stanza, ma da una delle due stanze affianco. Non riuscivo a capire bene quale. La stanza successiva alla mia apparteneva sicuramente a qualche membro del team, quella precedente era di Dalya. Forse era tornata, aveva urtato qualcosa, magari in giro aveva bevuto un bicchiere di troppo, ma era inusuale che esagerasse, non era da lei, e nel caso in cui fosse successo, sono sicura che Harry o Sawyer sarebbero venuti a chiamarmi o sarebbero quantomeno rimasti a darle aiuto. L'unica cosa che mi venne in mente, però, per dissipare qualsiasi dubbio, fu controllare di persona.
Mi alzai dal letto e aprii la porta della mia stanza. Il corridoio era completamente deserto e la porta della stanza di Dalya, chiusa. A differenza della porta della stanza successiva alla mia che, invece, era aperta con a terra, appena davanti l'ingresso, delle schegge di vetro. Avvertii improvvisamente freddo alle braccia e una pessima sensazione farsi largo nella mia mente. Non sapevo se entrare o meno, ma avevo timore che qualcuno si fosse sentito male, così feci un passo all'interno. La stanza era completamente al buio. La luce proveniente dal corridoio mi permise di vedere come il pavimento fosse cosparso di schegge di vetro di grandezze varie. Dalla stanza non proveniva alcun rumore, neanche il respiro di un singolo essere umano.
Superai i vetri, lasciando la porta leggermente aperta, e premei l'interruttore della luce. La stanza – adesso illuminata – era identica alla mia, ma completamente a soqquadro. Il tavolo centrale del salone era sottosopra, dell'acqua era riversata a terra. Le schegge di vetro dovevano appartenere al vaso che adesso era al centro della stanza e che, dai segni sulla porta, doveva essere stato lanciato contro essa. Con molta probabilità, il forte rumore che avevo sentito era stato provocato proprio da quello. Le tende erano state tirate giù e i divani spostati in maniera disordinata, come se fossero stati spinti via. Feci attenzione a non toccare niente e andai dritta verso la stanza da letto. Il cuore mi faceva su e giù nel petto senza fermarsi un secondo. C'era qualcosa in quella faccenda che mi inquietava, una strana consapevolezza che mi suggeriva di uscire da quella stanza e non metterci più piede. La camera da letto sembrava completamente anonima, niente che potesse suggerirmi il nome dell'inquilino. Era devastata anche quella, fatta eccezione per il letto. Andai verso l'armadio e vidi le ante scorrevoli leggermente aperte. Guardai all'interno, ma i miei occhi non si posarono sui vestiti, perché non ce n'erano. L'armadio era pieno di strani cubi bianchi impilati e ricoperti di plastica, più un'ingente quantità di denaro sigillato dentro sacchi trasparenti.
Cercando di capire meglio, afferrai fra le mani uno di quei strani cubi plastificati. La consistenza del materiale all'interno della plastica era polverosa.
Droga.
Spaventata, la lasciai cadere sul pavimento e mi portai una mano alla bocca per non cacciare un urlo, mentre l'altra, schifata da ciò che avevo appena toccato, la passai freneticamente sul vestito che avevo addosso.
La mia mente cominciò a passare in rassegna il volto di ogni membro del team, sforzandosi di capire a chi potesse appartenere quella roba. Era una quantità di droga enorme, impossibile da consumare per una singola persona. A poco a poco, il panico si trasformò in rabbia. Non avrei mai permesso a nessuno all'interno del mio team di fare una cosa del genere.
Presi il telefono dalla mia tasca e composi il numero della polizia, ma non feci in tempo a far partire la telefonata che la luce nella stanza si spense e il mio cellulare venne lanciato contro il muro. Dal nulla, una mano pesante premette con forza sulla mia bocca e un'altra mi bloccò i polsi, impedendomi di compiere qualsiasi movimento. Dalla presa, dalla grandezza delle sue mani e dal suo petto contro la mia schiena, capii si trattasse di un uomo. Un uomo molto più forte di me.
<<Non ci provare>> mi sussurrò all'orecchio, gelido.
Bloccata com'ero, non sarei mai riuscita a vedere il suo volto.
La nausea che quel pomeriggio non aveva smesso di farsi percepire, era tornata. Il panico avrebbe rischiato di farmi vomitare da un momento all'altro.
<<Le tue mani tremano.>>
Provai a divincolarmi, mugugnai in risposta. Poi piansi.
<<Pensi davvero di riuscire ad andare da qualche parte? Non ti hanno insegnato a farti gli affari tuoi?>>
Avevo il suo fiato sul collo e la sua mano fredda sul viso. Non avevo idea di come mantenere la calma. Cercavo di appigliarmi a qualche pensiero positivo, qualcosa che mi aiutasse a non cedere alla paura e a mantenere la lucidità, ma sentire la sua presa sempre più forte sulle mie mani e la sua schiena così vicina alla mia, non permetteva alla mia mente di fuggire in nessun posto sicuro.
<<Hai visto qualcosa che non dovevi vedere e io non posso rischiare che tu lo dica. Non te la prendere sul personale, però. È che quando si fanno cose cattive, si viene puniti.>>
Strinsi gli occhi fortissimo, tanto che la testa iniziò a farmi male. Ma avevo paura, tanta paura. Non sapevo cosa fare, se lui volesse farmi del male. Sapevo soltanto che ogni possibilità di fuga mi sembrava ormai inutile ed impossibile. Non fisicamente almeno.
Mandai la mia mente al ricordo di una giornata di sole trascorsa in collina, distesa sul prato a guardare il cielo azzurro. Il vento che mi accarezzava i capelli e una canzone che adoravo alle orecchie. Percepivo ancora l'odore dei papaveri rossi e il loro fruscio al vento. Ero lì e andava tutto incredibilmente bene. Era il mio posto, erano i miei ricordi, era la mia vita. Ed era tutto ciò che non avevo intenzione di abbandonare mai.
Aprii gli occhi ancora umidi e, cercando di far ricorso a tutta la forza che avevo in corpo, provai ancora una volta a ribellarmi, finendo però faccia a faccia con l'unico viso che non avrei voluto vedere.
Ash Clark.
Non avevo dubbi, non mi serviva guardare altri tratti del suo volto per essere sicura di chi fosse. Neanche la voce mi aveva suggerito nulla. Ma i suoi occhi che brillavano di gloria, sadici e feroci, proprio come il suo sorriso, erano già la risposta.
La parte sinistra del suo viso era ben delineata dalla luce della luna che entrava nella stanza. Il suo occhio sinistro era di un verde ghiacciato, come un rubino ritrovato in mezzo ad una lastra di ghiaccio. L'altro, color petrolio, si confondeva con il buio. Era come vedere il male ed il bene fondersi in una persona, il buio accanto alla luce. Anche se dubitavo fortemente che di luce, in quell'essere, ce ne fosse.
Ci fissammo per secondi che sembrarono secoli, lui guardava la sua preda, io il mio carnefice. Io guardavo la morte dritta in faccia. Lui, probabilmente, un alito di vita. Poi, improvvisamente, guardò verso terra e fece qualche passo indietro, creando una distanza di solo qualche centimetro da me. Non capivo in quale parte del corpo sentissi di più il cuore, ma lo percepivo battere così velocemente da avere la sensazione che stesse per uscire fuori.
Più di prima, mi accorsi di quanto fosse alto. Avvicinò il suo viso pericolosamente al mio fino a poggiare la sua fronte contro la mia. Quel contatto mi fece tremare tutto il corpo e sudare i palmi delle mani attaccati all'armadio. I suoi occhi mi bruciavano addosso come fuoco.
<<Scappa.>>
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Frantumi D'Avorio
RomanceNew York, febbraio 2021. Ivory Smith è una delle popstar più famose sulla scena della musica mondiale, nonché trampolino di lancio e luce della ribalta della casa editrice che l'ha formata e fatta brillare: la Young Generation. Ma cosa può succedere...