L'ispettore Giandomenici - Il giorno dell'omicidio

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Erano in tre nella macchina di servizio senza contrassegni. Il pubblico ministero, il dottor Magini, si era seduto dietro e aveva sparpagliato sul sedile posteriore quattro cartelline di diverso colore. Aveva la 24ore rigida appoggiata sopra le ginocchia, come se fosse un tavolino. Sfogliava alternativamente le diverse cartelline, leggendo ora dall'una ora dall'altra e prendendo qualche appunto su di un blocco di carta a quadretti da cui staccava fogli che aggiungeva all'una o all'altra.

«Vada piano!», l'aveva già detto tre o quattro volte. «Vada piano, ispettore. Non abbiamo nessuna fretta. Se arriviamo cinque minuti dopo, oramai non cambia nulla».

All'ispettore Giandomenici, invece, non sarebbe dispiaciuto piazzare sul tetto e attivare la luce blu magnetica e, magari, per fare un poco di cinema, anche la sirena. Per che cosa, allora, gli avevano fatto fare il corso di guida veloce?

Così, mentre guidava, spesso osservava nello specchietto rerovisore il dottor Magini pensando che una buona metà della sua attività frenetica fosse pura scena. Un modo ormai connaturato con cui faceva pesare la sua importanza. Perché non usava semplicemente un notebook come tutta la gente normale?

Scena, tutta scena.

Anche un po' ingenua, pensava.

E, per la verità, Giandomenici non aveva tutti i torti: al dottor Magini piaceva fare teatro.

Entrando in macchina il Piemme aveva pestato inavvertitamente un giochino di gomma, abbandonato dalla piccola Rosa. Grande Puffo aveva reagito con uno "Squiick" acuto e il dottor Magini aveva fatto un soprassalto esagerato. Giandomenici si era infastidito della sceneggiata del Piemme però ne aveva anche apprezzato la reazione. Sollevato il pupazzetto aveva detto: «Mi scusi, Giandomenici. Adesso sarà certo da lavare. Glielo metto qui, sul lunotto posteriore», e non aveva fatto nessuno dei commenti ironici o salaci che l'ispettore si aspettava. Anche Magini aveva dei figli piccoli.

Immerso nei suoi pensieri, ma molto più impaziente di Magini, a fianco di Giandomenici, sedeva il commissario Antonio "Dico" Ricci. Il commissario "Dico" Ricci, come era conosciuto in tutto il corpo, non era ignaro, come molti credevano, del suo soprannome. Non era un granché, ma lo rendeva speciale e diverso da tutti gli altri. E questo, oltre a non dispiacergli affatto, lo esonerava dal dover fare attenzione a emendare il suo abituale intercalare.

Era stato lui a telefonare a Giandomenici, ancora fuori servizio, chiedendogli di passare in commissariato a prenderlo. Poi sarebbero andati insieme a prelevare il Piemme, il dottor Magini appunto, destinazione viale Tiziano. «Sì, certo Giando. Passi pure prima all'asilo a lasciare la bambina. Dico, oramai da viale Tiziano non scappa più nessuno!».

Quando erano finalmente arrivati sul posto, la scientifica e il medico legale erano già all'opera. La prima ambulanza, arrivata poco dopo la pantera di Rienzo e Mulas, era stata rimandata indietro da tempo e il furgone dell'obitorio di medicina legale era lì, pronto, per caricare il cadavere.

Rienzo si era messo d'accordo con Mulas. Dopo aver preso le generalità dei due operatori ecologici, "spazzini" aveva scritto sul notes, aveva appuntato la loro deposizione. Poi li aveva lasciati liberi di riprendere l'automezzo e continuare il loro giro di raccolta saltando il vicolo. Al loro posto, per fermare il traffico, si era messo lui. Contento di potersi tenere lontano dalla pozzanghera scarlatta e dal cadavere sgozzato. L'aveva visto solo da lontano, ma temeva che di notte, prima o poi, sarebbe arrivato lo stesso a rovinargli i sogni.

La deposizione che aveva raccolto era priva di informazioni utili. I due avevano ripetuto punto per punto quanto già detto a Mulas, senza aggiungere niente di nuovo.

Giù nel buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora