XII

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«Papà, a giugno, finita la scuola, vorrei fare una piccola vacanza zaino in spalla con la mia migliore amica. Vale».

«Per lo meno, quest'anno lo saprò prima e non durante» rispose, ironico.

Lo sapevo che avrebbe risposto così. Eppure quell'ironia mi diede fastidio, era l'ennesima dimostrazione che io ero inesorabilmente marchiata da quella vicenda che loro avevano provocato trattandomi da merce di scambio.

«Questo dimostra la mia maturità. Poi nessuna fuga solitaria, tutto programmato, tutto rintracciabile. E una amica che garantisce per me, e io per lei».

«Cioè tu copri lei e lei copre te».

Due frasi. Erano bastate due frasi per desiderare la morte di mio padre in maniera efferata. Sgozzato, fatto a fette sottili, squartato. Andava bene tutto. Ma mi controllai.

«Ormai è un anno che è passata questa storia. Sono cresciuta, mi sono persino comportata bene a scuola, ho fatto tutto quello che dovevo. Tutto. Ho patito un anno di sabati sera chiusa in casa. Mi sembra che si possa girare pagina».

«Stefania, questa cosa te la spiegai già per la storia della discoteca di nascosto, e ti ripetemmo molto più arrabbiati anche per la fuga dell'anno scorso: stare in giro completamente da sole, per giorni, senza che nessuno sappia esattamente dove sei, non è una cosa facile da digerire e non è una cosa normale per una ragazza della tua età».

«Papà, primo, saremo due. Secondo, per quanto voi ci siate rimasti male, a me in un mese in giro per Barcellona, non è successo un cazzo».

«Sei stata fortunata, te lo vuoi sentir dire chiaramente? Sei. Stata. Fortunata. Oggigiorno gira troppa brutta gente. Tra drogati, pervertiti, immigrati».

Sbuffai, pensando che se non ci fossero stati gli immigrati che mi avevano comprato il cellulare, ero ancora a Nizza.

«Però, quando si trattava di mandarmi a ballare "senza bisogno di dirlo alla mamma", lì potevo andare».

Sbuffò lui, mettendosi una mano sulla faccia.

«Lo sapevo che lo avresti tirato fuori».

«Certo! Tu puoi pensare che io non sia cresciuta dal giugno scorso, e io non posso pensare che tu sia incoerente?».

«Senti, Stefania. Se si trattasse di un weekend, che ne so, anche un weekend lungo, quattro giorni, potrei anche capire, ma se mi parli di due settimane, eh, dai, ci arrivi da sola che non è la stessa cosa».

«Allora staremo via solo poco più di una settimana».

«Dipende quant'è quel "poco più"».

«Basta, spiattello tutto alla mamma, mi sono stufata. Ti prenderai le tue responsabilità» dissi, secca.

«Ok, ok, va bene. Calma. Dieci giorni».

«Dieci notti».

«Poveraccio il tipo che diventerà il tuo moroso» sbuffò.

****

Ripensandoci, avrei dovuto arrabbiarmi perchè non mi aveva nemmeno chiesto dove volevamo andare, per questa vacanza. Per lui, qualsiasi luogo avessi scelto, era rischioso, perchè eravamo ragazze e eravamo "troppo piccole". Gli stessi motivi avanzati da mia madre la sera di domenica.

E così, l'arrabbiatura che non avevo sfogato su mio padre, si riversò su mia madre: possibile che anche lei la menasse tanto lunga sulle stesse scuse così retrograde?

«Basta con la cazzata del "Sei una femmina e pure troppo piccola"? Dopo l'estate ho diciassette anni, santo cielo!».

«E ti sembrano tanti, diciassette anni? E poi due ragazze così, all'avventura! Non hai imparato nulla, non hai la misura dei rischi che ti vai a cercare. Se fossi tu e il tuo ragazzo, potrei anche capire!».

Quanto ci vidi rosso, non avete un'idea.

«Però la donna sola in giro alle cinque di mattina, se quella donna sei tu, quella va bene, vero? Se sta a spasso dal tipo di turno mentre la figlia è a casa da sola, quello va bene, vero? Mamma cazzo, ma riesci qualche volta a mettere via l'ipocrisia?».

Ci mise un'attimo, colpita dalla mia arma segreta estratta al momento giusto, poi ripartì con un evergreen da mamma che non sa replicare.

«Non parlarmi così! Come se non potessi provare a rifarmi un minimo di vita!».

«Ma fattela, ma chi ti dice niente! Ma non pensare di rifarti tu, una vita, e poi dire a me che non posso nemmeno iniziare a farmela, perchè ommioddio, voglio farmi dieci giorni in giro con una mia amica!».

«Ma non puoi metterlo sullo stesso piano, avanti! A Barcellona, e su questo ne converrà anche tuo padre, hai avuto fortuna a non incappare in nessun problema, come puoi pensare che ti vada sempre così bene! Due ragazze, da sole, così, in giro!».

Tanto, prima o poi sarebbe successo, mi sembrò un buon momento.

«Ho fatto sesso in Irlanda, dove voi, e ripeto voi, mi avete spedito da sola. Oh, ma guarda, avete spedito una ragazzina a Cork, perchè vi faceva comodo e, oh, ma guarda, ha scopato con il figlio del padrone di casa. Oh, ma guarda».

Si fecero atterriti. La seconda arma segreta aveva funzionato meglio della prima.

«E questo ve lo dico perchè, come al solito, pensate che io sia un cazzo di pacco. Ma ve lo dico: o mi ci mandate, o ci vado per i cazzi miei. E l'esperienza del "ci vado per i cazzi miei" l'avete già fatta, traete le conclusioni».

Mia madre sembrava un mucchietto di stracci. Mio padre aveva uno sguardo enigmatico, come se dentro di lui si stesse combattendo una guerra tra l'impulso di prendermi a sberle e l'orgoglio di vedermi così caparbia, o comunque di essere capace di tenere testa a mia madre.


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