Capitolo 4. Non ci casco più

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"Mi hai detto di prenderti la mano e io ti ho chiesto che profumo
avevano i girasoli quando io non c'ero."

Zaynhugs alias Soleil Fiore



L'enorme terrazza che affaccia sul tetto della SkyWron High School si trova al secondo piano dell'istituto e per arrivarci bisogna prendere delle strette scale, che hanno tutta l'aria di non essere pulite da interi anni.

È anche vero, comunque, che lì non ci va quasi mai nessuno. È una zona interamente morta, abitata soltanto da ragni, polvere e qualche volta dal custode che passa solo a dare una semplice occhiata.

Ma a Francisco Derval non provoca alcun tipo di effetto, perché lui non ha paura di niente.

È abituato al pericolo, all'adrenalina, a vivere quotidianamente con gli spettri del suo presente; è unto di risentimento.

È anche per questo che lui, quelle scale, le attraversa con calma, ne ascolta il silenzio e si lascia cullare dalla furia del vento che, quella mattina, sembra voglia infrangere in mille pezzi il vetro della porta in ferro battuto.

Gli si insinua fin dentro le ossa e gli raschia anche la più piccola crosta situata sulle nocche delle mani, gli lascia persino uno schiaffo in pieno viso, gelido, malato quando la apre con forza quella porta nera e se la richiude alle spalle con un tonfo che riecheggia insieme alla città.

Non ha la benché minima voglia di assistere alle lezioni della giornata. Infatti lo zaino beige contiene solo qualche pacchetto di sigarette rubato al bar della stazione dei treni, il portafoglio e una confezione di pasticche per il mal di testa. Lui con l'emicrania ci convive da quando ha dieci anni, ma sua madre non gli avrebbe permesso di restarsene a oziare sul divano per tutto il giorno, perché di nulla facenti nella sua vita ne ha già uno e quello gli basta e avanza.

Così Francisco è stato costretto a sgattaiolare a scuola – non ha nemmeno salutato Gledis Ortiz, la sua ragazza, quando l'ha intravista con le sue amiche, e a rifugiarsi in questo posto sperduto da Dio. Forse adesso potrà godersi un po' di solitudine in santa pace.

Si accende una sigaretta e lascia vagare gli occhi color caramello sul panorama che gli si presenta davanti, il fumo che gli esce dal naso è simile alla condensa e si va a posare sui fiori secchi, sulle betulle che un tempo erano così belle.

È pieno di caos il cielo plumbeo. Francisco se ne accorge mentre lo studia un po', è pieno di persone che vanno e vengono, di alberi spogli, morti, di sentimenti che si sgretolano, storie che hanno perso il loro buon sapore.

E lui si sente come in una tempesta che lo sta risucchiando fino all'ultima goccia, lo sta allontanando dall'unica persona che vorrebbe appiccicarsi addosso con la colla, se necessario, per non farla mai andare via. Un po' perché la ama e un po' perché senza di lei non ci sa stare. Ma lo sa che dopo quello che ha fatto non lo vorrà più vedere, che lo allontanerà dalla sua vita, che lo odierà, perché Andreas è una delle persone a cui tiene di più. Forse nemmeno lui riuscirà mai a competerci e questa cosa gli pesa sulle spalle come un macigno.

Ce l'ha piantato in gola come una di quelle orrende pasticche che non vogliono mai scendere; è un groppo troppo spesso e troppo difficile da mandare giù, ma Francisco sta provando a conviverci. Se lo sta facendo andare bene, anche perché non può fare altrimenti.

Il suo telefono prende a squillare proprio quando sta per buttare la sigaretta di sotto e appoggiarsi al muro. Con estrema lentezza lo estrae dalla tasca dei jeans strappati sulle ginocchia e sbiaditi.

Ti cerco tra i petali di rosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora