IX - L'Ultima Luce

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Warning: omicidio/suicidio (lascerò questo warning molto vago per motivi di trama, tra poco leggerete), (possibile) avvelenamento, leggere menzioni di bullismo, minacce di morte, tentato omicidio, attacchi di panico, allucinazioni

~ Flashback di ??? ~

Un tempo non sapevo cosa volesse dire "solitudine". O meglio, non capivo il concetto del rimanere solo. Nonostante fossi completamente isolato da tutti, non pensavo fosse una cosa grave.

All'asilo gli altri bambini parlavano male di me. Dicevano che ero strano, non ero come loro.

A quell'età i bambini trovano facilmente certe cose o persone "strane". Per loro ero strano perché non sapevo il significato delle parole, non sapevo pronunciarle bene, non capivo la gente quando mi parlava. Perché imparavo più lentamente.

La mia famiglia era molto povera, non avevamo una casa fissa. I miei genitori cercavano in tutti i modi di guadagnare qualcosa facendo dei lavori miseri e con quei pochi soldi ci mantenevamo. I miei genitori non avevano mai avuto il tempo di farmi crescere bene, pensavano solo ai miei bisogni primari, come l'alimentazione, la mia salute e altro.

Il che è normale, no? Quello serve per un bambino di quell'età. Per me quella vita era normale. Per me non avere alcun amico era normale.

E poi non ero davvero solo. Nei lavori di gruppo o di coppia, mi faceva compagnia la maestra. Non mi lamentavo, per me quella era la normalità.

Ma poi arrivò quel giorno, il giorno in cui capii che tutto quello non era normale. Il giorno in cui lui venne da me.

Non sapevo il suo nome, ma era un mio compagno di classe. Era sempre il primo ad alzare la mano per rispondere alle domande, era quello che aiutava gli altri nostri compagni nelle attività. Lui era intelligente e amato da tutti.

Anche lui era strano per gli altri bambini perché sapeva cose che loro nemmeno riuscivano a concepire, ma non lo intendevano in senso negativo. Non era la mia stessa stranezza.

Perché lui era strano, ma era amato. Io ero strano, ma ero odiato.

Un giorno dovevamo fare un progetto in coppia e io stavo aspettando la maestra, ma lui si fece coraggio e venne da me. Gli altri bambini gli dicevano di allontanarsi da me, ma non lo fece. Mi guardò dritto negli occhi.

Che begli occhi. Erano strani, uno di un colore diverso dall'altro. Erano strani, ma belli.

Non mi ricordo cos'altro accadde, ma da quel giorno in poi divenne il mio "amico". Come era stato possibile?

La mia era una famiglia di senzatetto, la sua una delle famiglie più ricche della città. Lui sapeva tutto, io stavo imparando le cose solo grazie a lui. A me piaceva giocare sempre, lui non riusciva a starmi appresso perché si stancava facilmente.

Eppure noi rimanemmo sempre insieme. Le nostre famiglie diventarono amiche, è grazie alla sua famiglia che noi riuscimmo a trovare un posto dove vivere, è grazie a lui che piano piano diventai "normale" agli occhi degli altri.

In realtà agli occhi degli altri eravamo ancora strani, perché per loro era impossibile che due come noi potessero essere amici. Eppure noi eravamo amici e rimanemmo sempre molto legati.

Conoscemmo altre persone che entrarono a far parte della nostra vita, amici e non, e le perdemmo di vista.

Scoprivamo nuove cose insieme. Ci aiutavamo a vicenda, anche se era quasi sempre lui che aiutava me.

Eravamo inseparabili. Sì, litigavamo, ma facevamo subito pace. Non avevamo paura di separarci perché non l'avremmo mai fatto.

Solo una volta provai l'ansia di poterlo perdere per sempre. Tutta colpa sua.

Desire of Leaving: Omicidio o Suicidio?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora