A penny for your thoughts, my dear

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I was walking in the park
dreaming of a spark,
when I heard the sprinklers whisper
shimmer in the haze of summer lawns.


A volte penso che sia iniziato tutto con un colpo di tosse durante l'ultima lezione di educazione fisica dell'anno.

O forse con una rissa durante un'altra lezione in palestra, mesi fa.

Potrebbe essere iniziato con una conversazione sul bordo della piscina di casa tua.

O magari con un tatuaggio, e i tuoi occhi spauriti e troppo grandi e tanto vicini ai miei.

Mi chiedo spesso, nelle ultime settimane, da cosa sia iniziato tutto e perché e come io sia arrivato a questo punto. Mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi schiacciato le paure nello stomaco prima che mettessero radici nei polmoni.

Me lo chiedo spesso, ma forse dovrei smettere. Non ha importanza, in fondo, da cosa sia iniziato tutto.

È come andrà a finire che mi spaventa.

Mi sono innamorato di te, Simone.

Mi hai fatto crescere fiori nei polmoni, ma,
per quanto siano belli,
io non respiro.

--

La prima volta che ho sentito l'aria bloccarsi nei polmoni e la gola che non voleva più aiutarmi a respirare, il mio primo pensiero è stato che avrei decisamente dovuto ricominciare a fare sport. Mollare il calcio era stata una decisione sensata, a suo tempo, ma forse era arrivato il momento di trovare qualcos'altro da fare. Magari non la pallacanestro e nemmeno una roba da fighetti tipo la scherma, sicuramente non il curling, ecco, ma qualsiasi altra cosa sarebbe andata bene. Magari il rugby con te, Simone, anche se temo di non avere il fisico adatto.

Tutto pur di risparmiarmi di nuovo l'umiliazione di soffocare nel bel mezzo dell'ora di educazione fisica, dopo solo mezzo giro di corsetta nella piccola palestra della scuola, con gli occhi di tutta la classe puntati addosso.

Ci ho messo diversi secondi prima di riprendere a respirare normalmente, e tu, Simone, che con il braccio ancora ingessato non potevi fare ginnastica e fino a quel momento eri rimasto in un angolo della palestra a sorridere al cellulare, ti sei avvicinato con la fronte corrugata e una mano sospesa sulla mia schiena, forse timoroso di toccarmi e di togliermi il poco fiato che avevo, non capendo che sentirti addosso a me poteva soltanto aiutarmi a respirare.

Quando ho alzato la testa e incrociato il tuo sguardo preoccupato, ho sentito il formicolio in gola aumentare di nuovo, ma mi sono sforzato di deglutire per buttarlo giù e cercare di far finta di niente. Ti ho sorriso, e ho ignorato il modo in cui la tua bocca chiusa e contrita mi stava dicendo che non ero stato convincente.

Fa niente, mi sono detto. Te ne saresti dimenticato presto.

Ti ho dato una pacca sulla spalla, e per un attimo ho pensato di lasciar scivolare il braccio fino a cingerti il collo e avvicinarti a me e rassicurarti che andava tutto bene, che non era niente. Come ho fatto quando siamo stati la prima volta al cimitero da Jacopo, come ho fatto innumerevoli volte nei corridoi di quella scuola, come volevo fare in quel momento per illudermi di essere tanto importante per te da meritare che tu volessi essere rassicurato, e perché quando ti tengo così vicino mi sembra di respirare meglio, e ne avevo proprio bisogno in quel momento.

Però ti ho lasciato andare, ti ho rivolto un altro sorriso tirato e mi sono rimesso in fila con gli altri per riprendere a correre.

Il formicolio che ho cercato di buttar giù deglutendo si è spostato al centro del petto, ma non gli ho dato peso.

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