Shimmer in the haze of summer lawns

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Then I heard the children singing,
they were running through the rainbows,
they were singing a song for you.
Well, it seemed to be a song for you,
the one I wanted to write for you,
for you,
you.


Non so quanto ci ho messo a rendermi conto di essermi innamorato di te, Simone.

Adesso, con il senno di poi con cui tutti a parte me sono bravi a parlare, vorrei dire che quelle frecciatine poco velate di tua nonna sono state la miccia di una bomba che ha spazzato via ogni dubbio e paura nella mia testa.

Non è andata esattamente così, però, e credo tu lo sappia bene.

Quei quattro fiori piuttosto si sono rimpiccioliti e riavvolti su sé stessi come una vecchia videocassetta, riducendosi a semi che tua nonna ha potuto piantare nel mio cervello, e forse nel cuore, e in tutti gli organi in cui ci fosse ancora spazio. Ce li ha sistemati, in qualche modo, nel mio terreno un po' sbagliato.

Ed è una fortuna, credo, che a piantare quei semi sia stata tua nonna, che di fiori si intende, o dentro di me qualsiasi cosa che non fosse la paura sarebbe potuta avvizzire ancora prima di germogliare. Il problema, Simone, è che quando Virginia mi ha seminato di dubbi e possibilità ha anche smosso qualcosa tra i miei organi, ha scavato a fondo nel terreno, ha spaventato gli insetti dalle zampe sottili e le lucertole dalla spoglia squamosa, ha inumidito la terra secca e polverosa e l'ha fatta capovolgere su sé stessa. Ha smosso e bagnato un terreno riarso che si era assestato negli anni nei suoi incastri aridi e bruciati di sassi e sabbia.

Ha smosso me, e io dovevo ancora trovare il modo di orientarmi in tutta quell'umidità e cura e fertilità, una lucertola del deserto a cui hanno inondato le vie di casa. Tua nonna poi mi ha insegnato che ci vuole pazienza prima che un seme germogli, Simone, ma io in quel momento non l'avevo mica capito. Tutto quello che sentivo erano quei maledetti fiori che mi risalivano la trachea, e l'odore permeante di terra bagnata.

Credo sia per quello che non c'ho capito nulla quando ti ho visto, Simo, quando sono tornato al garage dopo la visita a tua nonna e ti ho ritrovato lì fuori, seduto sulla Vespa ad aspettarmi. Perché tu spegnevi il caldo afoso delle sere di giugno come una coperta d'acqua, ma a me sembrava già di annegare.

«Ehi» mi hai salutato un po' incerto mentre mi toglievo il casco e scendevo dalla moto.

«Simò» ho abbassato il cavalletto e appoggiato il casco sulla sella «Che ci fai qui?».

«Ti disturbo?».

Sei sceso dalla Vespa lentamente, ma poi, quando ho preso le chiavi della porta del garage dalla tasca dei pantaloni e le ho infilate nella toppa, senza girarle, mi sono accorto che mi eri già vicinissimo, pronto a entrare insieme a me senza alcun invito. Quando mai avevi avuto bisogno di un invito, dopotutto?

«Ti serve qualcosa?». Ho lasciato le chiavi penzolare dalla toppa e mi sono voltato.

Erano giorni che non ti avevo così vicino, Simone, ed è stato strano rendermi conto, in quel momento, di quanto il tuo odore e quello dei fiori nascosti nelle mie tasche fossero simili.

«Volevo soltanto vedere come stavi». Hai fatto spallucce con quella finta noncuranza che ti si legge in faccia da chilometri, e ho quasi sorriso. Quasi. «È un po' che non ci vediamo».

«Sono stato impegnato con le moto da aggiustare». Io come attore purtroppo non sono migliore di te, e le tue sopracciglia aggrottate me l'hanno fatto capire bene. «Sto benone però». Mi sono appoggiato con la schiena alla porta e tu hai alzato gli occhi al cielo.

«Certo, le moto... Ma non possiamo entrare?».

«No, fa caldo dentro, si sta meglio qui».

Hai sbuffato leggermente e ti sei allontanato di un passo, ed è stato strano, Simo, quanto velocemente il formicolio in gola che quel pomeriggio sembrava più leggero del solito si sia invece accentuato non appena ti sei mosso via da me. È stato quasi istintivo staccarmi dalla porta e seguirti, come se un ramo della mia pianta mi avesse forato il petto e si fosse attorcigliato intorno al tuo busto, e io potessi muovermi solo modellandomi su di te, l'unico bastone solido intorno al quale potessi crescere dritto senza accasciarmi a terra.

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