My way back to you

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Una mattina, a colazione, mamma stava mettendo la tazzina del caffè nel lavandino e raccontandomi di una collega con cui avrebbe cenato quella sera e che, a suo dire, aveva una figlia tanto carina della mia età con un problema alla Vespa che soltanto io avrei potuto risolvere.

«Ma', non mi interessa».

«Cosa Manuel, il lavoro o la ragazza?» mi ha sorriso da sopra la spalla, sciacquando la tazzina.

Ho alzato gli occhi al cielo, «La tipa, ma'».

«Di sicuro non ti presento la mia collega». Ha afferrato una pezza per asciugarsi le mani, poi si è ricordata della tazzina bagnata abbandonata sul bancone della cucina e, per asciugare anche quella, si è inumidita di nuovo le mani.

Ho sollevato le sopracciglia, «Non mi interessa manco la collega».

«Ah» ha risposto, continuando a lucidare la tazzina sbeccata senza guardarmi «E chi ti interessa?».

«Ma'...».

«No, dico» ha sollevato le spalle «Se ti interessa qualcuno me lo puoi dire, lo sai no?».

«Anche tu me lo puoi dire» le ho fatto notare «Se ti senti con qualcuno. Lo sai no?».

«Ma che c'entra! Sono tua madre io».

«E quell'altro è il mio professore, e quindi?».

Ha riso e poggiato finalmente la tazzina sul bancone, poi si è avvicinata a me e si è appoggiata al tavolo con un fianco. «Sei incorreggibile».

«Sono figlio tuo».

«E meno male», ha sorriso e mi ha passato una mano tra i capelli. «Mi stavo un po' preoccupando, Manuel» ha detto poi.

Ho aggrottato le sopracciglia, «Perché?».

«Stavi sempre da solo ultimamente, sempre mogio, e sei pure dimagrito».

«È estate, non c'ho niente da fare». Ho scrollato le spalle, cercando di ignorare il cuore che iniziava a battere più forte.

«Mhmm». Mamma ha continuato con le carezze ai capelli, e ho chiuso gli occhi per calmarmi. Siamo rimasti un po' in silenzio, il mio caffè ancora caldo e la scatola di latta con i biscotti di Virginia abbandonati sul tavolo.

«Negli ultimi giorni mi sembra vada meglio, però. Hai anche ripreso un po' di colore in viso, e mangi di più».

Non ho dovuto neanche pensarci. «Simone mi parla di nuovo».

Le carezze si sono interrotte, e ho aperto gli occhi per voltarmi verso mamma, trovandola sorridente. «Ah, sì?».

Sono arrossito e mi sono affrettato ad abbassare di nuovo la testa sul caffè, afferrando il cucchiaino e girandolo nella tazzina, per poi ricordarmi che non ci avevo ancora messo lo zucchero. «Ma', per favore».

«Ma io sono solo contenta se con Simone va tutto bene».

«Ma non è che va-» ho sbuffato, poi mi sono allungato dall'altra parte del tavolo per afferrare la zuccheriera. Non ci arrivavo, e mamma l'ha presa per me. Mentre versava il mio solito mezzo cucchiaino, ho riprovato a spiegarmi. «Non va proprio niente, con lui» ho borbottato.

«In che senso?».

«Sta con uno».

«E quindi? Non ti piace lui?».

«No- cioè sì, non mi piace, ma non è quello il problema». Ho finito di girare lo zucchero e bevuto il caffè scottandomi la lingua, poi ho posato la tazzina, e ho alzato la testa verso mamma. «Il problema è che... Io non voglio che-». Continuavo a balbettare, e lei mi lasciava fare senza interrompermi. «Io vorrei che tra loro non andasse bene, e con me sì». Mi sono passato una mano in faccia, «Perché mi piace Simone».

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