Megan:Lasciami andare! Victor ti prego, ti prego non farmi questo di nuovo, mi fai male! Ti supplico... -sentivo la gola bruciare e le lacrime rigarmi il viso come acido sulla pelle che velocemente lasciava dei solchi lì dove imperterrito scorreva e lasciava il volto distrutto dal dolore. Le guance ormai macchiate da leggeri lividi violacei a contatto con le lacrime salate bruciavano e intensificavano ciò che in quel momento stavo provando o meglio quello che stavo incassando secondo dopo secondo, colpo dopo colpo, grido dopo grido. Dopo la fine delle lezioni, mentre mi avviavo verso casa, una moto nera, a me fin troppo familiare, mi tagliò la strada e senza neppure metabolizzare ciò che stava accadendo mi ritrovai senza fiato. Non ero sicura se fossero passati minuti o ore dopo l'inizio di quella agonizzante tortura, ma mi trovavo ancora lì inerme e indifesa con le spalle contro il muro sporco di un vicolo tetro e ignoto, seviziata ancora una volta da quella bestia, da quell'orcosenza cuore, senza un'anima e senza una dignità, un mostro che si meriterebbe la morte immediata piuttosto che vivere distruggendo, ulteriormente, la vita di certa gente già danneggiata. Il cuore mi martellava furiosamente dentro il petto privandomi di respirare regolarmente e non per qualcosa di semplicemente emozionante, quel qualcosa capace di toglierti la forza di parlare per la felicità, quel qualcosa che ti emozioni così tanto da lasciarti senza parole, rapita da un'illimitata dolcezza...nulla di tutto ciò, sfortunatamente. Mani feroci violavano il mio corpo senza sosta provocando un urlo soffocato in grado di massacrare la mia anima e riempire il mio cuore ripetutamente di dolore e indignazione, lasciandomi quasi senza fiato. Alzare lo sguardo significava solamente trovare dei vuoti e freddi occhi neri che brutalmente marchiavano il mio corpo e un cuore di pietra che nessuno mai sarà in grado di scalfire. Avrei voluto che al posto delle mie lunghe e magre gambe ci fossero stati due affilati coltelli, che durante i continui dimenamenti, mi fossero serviti come arma per difendere quelle ultime briciole di donna che mi erano rimaste. Questa forza, insieme a quella di tanti altri, mi stava provocando una ferita immensa di cui non esisteva una cura. Mi sentivo morire mentre quelle soffici labbra spaccavano le mie secche e sanguinanti, mi sentivo morire mentre il mio esile corpo veniva schiacciato senza una via di fuga, ma mi sentivo morire ancor di più perché sapevo che non avrei provato abbastanza dolore per morire veramente. Avevo cercato di oppormi, di dimenarmi ma era tutto inutile, quel diavolo travestito da essere umano con i suoi modi violenti stava segnando il mio corpo percorso da brividi di paura e terrore. E ancora, pugni sullo stomaco capaci di farmi gemere e sputare saliva per terra scagliati solo ed esclusivamente per farmi arrendere alla sua irragionevole pazzia, fino a quando dopo un'ultima supplica raggiunse il culmine e mi lasciò a marcire sul sudicio terreno con quel marchio, quello sporco marchio, di uno schizzo bianco sulla canottiera sgualcita e strappata. Fredde lacrime cercarono di lavare e portare via i segni lasciati da quel lurido mostro ma i segni rimanevano e con essi anche il dolore. Dopo essersene andato dicendo con tono sconcertante un "grazie piccola" con la forza di non so quale Dio,riuscì a tirarmi su, sebbene barcollando, cercando di ritornare a casa trovando un appoggio sui muri delle vie che mi mancavano da percorrere. Una volta che arrivai a casa, con violenza, sbattei forte la porta lasciandomi alle spalle gli occhi indiscreti di quella gente che mi avevano vista barcollare fino a casa, se così poteva essere definita, ma non mi accorsi che nel momento in cui avevo chiuso la porta dal muro cadde, sul pavimento scheggiato, l'unico quadro che ancora si teneva in piedi e a cui io ero particolarmente affezionata. Immediatamente mi chinai per raccogliere la familiare fotografia, facendo attenzione ai cocci di vetro, non che la situazione in cui mi trovavo fosse delle migliori ma volevo comunque evitare di peggiorarla e poggiando il braccio contro il muro riuscii a risollevarmi tenendo gli occhi lucidi su quel volto amico, l'unico in grado di farmi alzare lievemente gli angoli spaccati della bocca. Una giovane donna dai lunghi capelli biondi sorrideva felice verso l'obbiettivo della macchina fotografica mentre cercava invano di raccogliere la sua folta chioma in una coda per colpa del vento che li trascinava via con se. Sullo sfondo vi era un semplice parco, adesso raso al suolo, adornato da vecchi alberi sui cui rami erano state lanciate diverse paia di scarpe e in altri delle sedie malridotte. Apparentemente guardando dritto quegli occhi azzurri niente sembrava impossibile, nulla sembrava così lontano e irraggiungibile, eppure dietro quel meraviglioso sorriso,dietro quella giovane ragazza di appena vent'anni io sapevo che c'era molto di più, io sapevo che in quel sorriso sornione vi erano tracce di coraggio e di una forza disumana perché io conoscevo la storia di quella angelica creatura, le cui ali, per anni, erano state tarpate. Non mi accorsi che mentre la mia mente si perdeva fra mille ricordi e verità nascoste, iniziai a singhiozzare silenziosamente presa da un'improvvisa crisi di disperazione, non dovevo piangere, non potevo farlo, non qui, non con lui in casa. Sapevo che era qui, dall'ingresso riuscivo a sentire il cigolio della sua sedia a dondolo e lo spaccarsi di bottiglie di vetro contro il pavimento, la tv faceva da sottofondo ai miei passi nel momento in cui iniziai ad avvicinarmi lentamente al soggiorno buio. Feci attenzione a non pestare i cocci delle bottiglie di birra dei giorni passati, non volevo che si concentrasse su di me, ne avevo avute abbastanza per oggi. Quando raggiunsi lo stipite della porta, cercai di nascondermi con esso per poter osservare sconcertata la scena che mi si presentava davanti. A fare luce vi era quella flebile bluastra della televisione che rifletteva sulle cartacce e sui bottiglioni di vino poggiati per terra, come sempre d'altronde, non puliva mai la merda che combinava e pretendeva che lo facessi io. E perciò in quel momento si trovava lì, di spalle, mentre andava avanti e indietro sulla sua sedia di legno a gustarsi l'ennesima schifezza che magari gli aveva procurato una delle puttane che si scopava ogni tanto e che nella maggior parte dei casi mi ritrovavo senza sensi sulle scale nelle mattinate. La testa rasata lasciava allo scoperto la cicatrice sulla nuca che non molto tempo fa si era procurato durante uno dei suoi scontri e il dorso senza maglietta rendeva visibili le numerose macchie di inchiostro che regnavano su tutta la sua schiena. Più di una volta avevo pensato di colpirlo alle spalle ma sebbene la disperazione fosse alle stelle, io non ero come loro, non ero un'assassina e mai lo sarei diventata, ma su questo tasto lui la pensava diversamente. Quando pensai che fosse finalmente l'ora di sgattaiolare via da lì, per raggiungere il bagno di sopra, indietreggiai provando ad allontanarmi il prima possibile,ma proprio quando stavo per raggiungere le scale, ancora di spalle, urtai il mobiletto dell'ingresso e come un tuono sentii dal soggiorno una bottiglia spaccarsi e una voce roca arrivare infuriata, cazzo! Di corsa raggiunsi le scale e le salii frettolosamente, dietro di me potevo sentire delle grandi falcate raggiungermi ma fortunatamente fui più veloce a chiudermi a chiave in camera. Sapevo che non era abbastanza, così con la forza che mi era rimasta spinsi il comò oltre lo stipite della porta e, come mi aspettavo, dei colpi frastornanti riecheggiarono per tutta la casa accompagnati da imprecazioni- Brutta puttanella, dove cazzo sei stata eh?! Rispondimi troia! Apri questa porta o giuro che la butto giù! Apri! Sei soltanto una puttana, una puttana assassina, devi morire, ti ucciderò con le mie stesse mani così che tu possa schiattare come quella troia di tua madre che è morta per colpa tua! Apri! -e ancora, un rombo di mille timpani mi fece vibrare come una corda tesa. Dio mio, aiutami, ascoltami, perché mi fai questo?Perché non fai zittire quest'ira disumana?- Assassina! -già...un'assassina, ogni giorno mi ripeteva sempre la stessa cosa, sempre la solita storia e non mancava giorno in cui non mi sentissi in pace con me stessa...
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The Jesus Of Suburbia
أدب الهواةQuesto è il Bronx,la città che tutti temono,la città dei miserabili,dei pezzenti e dei delinquenti,la città che i figli di papà hanno etichettato in questo modo e noi da anni a questa parte,convivendo con questa realtà,abbiamo costruito delle mura c...