Capitolo 4 - I primi giorni

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I primi giorni, diciamocelo, non sono mai facili per nessuno.

Sì, ma, i primi giorni di cosa? Un po' di qualunque cosa, a dire la verità.

I primi giorni di vita, quando fino ad un attimo prima ti sentivi al sicuro, protetta in quel tuo piccolo mondo ovattato e un attimo dopo l'inferno. Pianti, urla, mani fredde intente ad esaminarti da capo a piedi senza troppi complimenti e diverse paia di occhi che ti scrutano alla ricerca di difetti ed imperfezioni, ma poi rassicurano mamma e papà che sì, le due braccine e le due gambette sono proprio dove dovrebbero essere.

Poi, qualche anno dopo, arrivano i primi, gloriosi giorni in cui finalmente sei grande abbastanza da stare seduta dritta su una sedia e quindi perfettamente in grado anche di dormire da sola nella tua cameretta nuova di zecca, proprio quella sì, la stessa dove quello stronzo di tuo fratello ti ha assicurato esserci nascosto un terrificante mostro nell'armadio.

E dopo ancora, dopo essere sopravvissuta al terribile mostro e imparata finalmente la sopracitata parolaccia con cui apostrofare l'illustre primogenito all'occorrenza, eccoli, i primi giorni di scuola.

Per gli amici babbani: no, il fatto di trovarsi in un meraviglioso castello impregnato fin nelle fondamenta di magia non lo rende più facile, ma solo un po' più avvincente da raccontare.

Ophelia aveva un ricordo estremamente nitido dei suoi primi giorni come studentessa della prestigiosa scuola di magia e stregoneria di Hogwarts: ad esempio, ricordava benissimo tutte le volte che si era persa tra i labirintici corridoi, anche a causa delle maledette scale che continuavano a spostarsi da un piano all'altro senza alcuna nozione di causa.

Il quarto giorno proprio per colpa delle maledette scale era arrivata in ritardo alla lezione di Erbologia, che era già iniziata da un pezzo. Ricordava le occhiate divertite che le avevano lanciato i ragazzini di Serpeverde e quelle cupe dei suoi compagni Corvonero, che per colpa sua avevano appena perso dieci punti nella classifica per l'assegnazione, a fine anno, dell'ambitissima coppa delle case.

Il Professor Beery non ci andava mai troppo per il sottile, e Ophelia era convinta che provasse un particolare astio nei confronti dei ritardatari, forse perché convinto – non del tutto a torto – che la sua materia fosse considerata degna di scarsa considerazione dalla maggioranza degli studenti. Quella mattina, poi, sembrava davvero fuori di sé.

"cosa fa lì impalata? Si sbrighi, prenda posto con un suo compagno, per Diana, abbiamo già perso troppo tempo!", le aveva urlato dietro, mentre Ophelia da parte sua si era diretta a testa bassa verso l'unico posto libero rimasto, senza preoccuparsi minimamente di alzare gli occhi per scoprire con chi le fosse toccato di passare la mattinata a ravanare in un vaso pieno di terra alla ricerca di bulbi purulovelenosi.

"sarebbe meglio che ti mettessi i guanti".

A Ophelia non era sfuggita la nota imperiosa e la rigidità nel tono di quel ragazzino dagli occhi grigi e freddi come il ghiaccio e il portamento altezzoso di chi, per certo, non aveva neanche mai visto da lontano tutta quella terra umida, figurarsi averci infilato le mani.

Naturalmente aveva notato, non troppo sorpresa, che sul suo maglione era cucito in bella vista lo stemma verde e argento della casa Serpeverde.

"perché, invece, non te li metti tu i guanti?"

Aveva replicato, e tuttavia lo sguardo furente di Beery era ancora puntato su di lei e l'ultima cosa che desiderava Ophelia era farsi riprendere di nuovo, così alla fine aveva alzato gli occhi al cielo e senza troppe cerimonie si era infilata i maledetti guanti così da potersi fingere assolutamente entusiasta di trovarsi con un mezzo braccio affondato in quel vaso enorme alla ricerca dei famigerati bulbi che, se non maneggiati con cura, causavano terribili irritazioni.

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