Abbi cura di te

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Tu vienimi a prendere dentro quest′ansia

Ti aspetterò dove ci siamo persi

Siamo un universo fatto di parole

Che non ci siamo detti

Highsnob e Hu - Abbi cura di te


È ancora buio fuori quando la sua sveglia suona. Come se ce ne fosse bisogno, come se fosse riuscito a dormire anche solo un minuto da quando era tornato a casa la sera prima.

Manuel si volta pigramente su un fianco, con un lamento, e la spegne al secondo trillo.

Si passa le mani sulla faccia, fino a infilare le dita tra i ricci scompigliati.

Gli sfugge un altro lamento, quando si ricorda che cosa lo aspetta.

La casa è piacevolmente silenziosa, mentre entra in punta di piedi in cucina, cercando di non svegliare sua madre. I tempi in cui tornava solo a quell'ora sembrano lontani, come se appartenessero a un'altra vita. Si sta ancora infilando la felpa, quando viene investito dall'odore del caffè, mentre la moka gorgoglia ancora sul fornello.

"buongiorno" gli dice sua madre mentre si stropiccia un occhio.

"oddio, mà che paura" dice con una mano sul petto, mentre respira a fondo "che ce fai già sveglia?"

Sua madre spegne il gas e prende la moka con una presina di stoffa piena di macchie di bruciato, ha perso il conto delle volte che ha preso fuoco perché se l'è dimenticata vicino al gas acceso.

"ti volevo accompagnare all'autobus" si copre la bocca con la mano mentre sbadiglia "Silvia mi presta la macchina"

Manuel abbassa lo sguardo.

L'idea di non partire lo aveva tentato, pur di evitarsi tre giorni a stretto contatto con Simone.

Simone che ora era era di un altro, Simone che ora ce l'aveva con lui per aver litigato con il suo ragazzo, Simone che pensava che era arrivato troppo tardi.

"vado a finire di vestirmi" bofonchia, e si porta il caffè in camera.

Cinque minuti dopo, Manuel e sua madre viaggiano in silenzio verso la fermata dell'autobus, lungo le strade deserte di una Roma ancora assopita.

L'aria sembra diversa, in momenti come quello: quasi irreale, sempre un po' rarefatta, come se si stoppasse momentaneamente, e tutto procedesse a rilento.

Viaggiano liberamente per la strada, ed è facile credere di essere le uniche persone rimase sulla Terra, in un orario in cui è troppo tardi per chi è uscito a festeggiare, e troppo presto per chi deve recarsi a lavoro.

Manuel chiude gli occhi appoggiando la testa al finestrino freddo: le palpebre cominciavano a farsi pesanti, chiedendo il conto di una notte passata alzato. Era tentato di rubare qualche minuto di sonno, cullato dall'ondeggiare della macchina sui fossi di Roma, con i camion della nettezza urbana a suonargli la ninna nanna.

"ma che è successo ieri?" domanda Anita facendo passare gli occhi da suo figlio alla strada "c'hai na faccia"

Manuel ridacchia, ancora con gli occhi chiusi. "grazie, mà"

"sai cosa intendo"

Solo perché tu non mi hai voluto, non vuol dire che non possa essere felice con qualcun'altro.

Ogni volta che aveva provato a dormire, quella notte, l'eco delle parole di Simone gli si ripresentava.

"non ho chiuso occhio" ammette alla fine.

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