VI - IVAR

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Alex correva come un forsennato da un marciapiede ad un altro, scansando passanti e ciclisti decisamente irritati dal suo comportamento sconsiderato. Aveva rischiato di provocare incidenti e di farsi molto male già un paio di volte.
Non ce la faceva più; era stato al porto, in ospedale ed al cimitero, ma non l'aveva trovata.
Ginevra era scomparsa un'altra volta.
Aveva ricominciato a sparire per ore senza avvisarlo, lasciandolo preoccupato e in preda all'ansia ad ogni occasione.
Amava la sua donna più di quanto amasse se stesso, ma era esausto di quella situazione e non aveva la benché minima idea di come sistemarla. Anche lui aveva cominciato le sedute di psicoterapia, chiedendo aiuto allo stesso psicologo di Ginevra.
Perché da solo non poteva farcela, non importava quanto duramente ci avesse provato; lui non riusciva a salvarla.

"L'ho trovata.
Te la riporto a casa."

L'sms di Marco sullo schermo del suo iPhone lo riportò alla vita, facendolo respirare di nuovo, dopo tutto il fiato perso in tre ore e 27 minuti di ricerca disperata.

«Era a Fiolstræde.»

Gli disse Marco prima di andarsene, quando Alex varcò agitato la porta d'ingresso.
Incredibile. Fiolstræde era proprio dietro casa.
Ginevra, che non aveva mai sopportato i posti troppo affollati, l'aveva letteralmente ingannato, rifugiandosi in una delle vie più trafficate della città, a pochi passi da lui, che invece aveva speso l'intero pomeriggio a cercarla lontana kilometri.

«Hey, piccola...»

Lei era lì, in piedi accanto al divano, con gli occhi lucidi e le braccia spalancate in attesa di un abbraccio che non tardò ad arrivare.
Alex la strinse forte contro il suo petto, cullandola come fosse stata una bimba piccola a cui era stato appena portato via l'orsacchiotto di pezza.

«Mi dispiace averti fatto preoccupare. Stavo cercando Ivar.»

Ivar Høgh Andersen era il loro bambino.
Sebbene non si aspettasse di diventare padre a 28 anni, Alex non era mai stato più grato alla vita. Ginevra gli avrebbe dato un figlio e lui si sentiva letteralmente l'uomo più felice del pianeta.
Era stato magnifico vederla piangere di commozione quando lui le disse di voler tenere il piccolo; sapeva quanto era importante per lei e com'era smisurato il suo desiderio di diventare madre. Ed era stato straordinario vedere la pancia crescerle giorno per giorno, sempre ben coperta dalla sua t-shirt grigia che, anche se troppo grande, lei amava indossare dalla mattina alla sera. La gravidanza le aveva fatto prendere qualche kilo, ma Alex non aveva mai smesso di trovarla incredibilmente attraente.

«È un bel maschietto!»

Quando la ginecologa lo confermò, a Ginevra -che ci sperava da sempre- si illuminarono gli occhi.

«Ivar.»

Disse accarezzandosi il pancino ancora non troppo grande.

«È stato lui a condurmi da te, Alex.  Nei suoi occhi, vedrò sempre i tuoi.»

Gli aveva detto queste parole, facendolo sbocciare come un fiore in primavera.
Ivar Il Senz'ossa era un nome che si sarebbe portato addosso per tutta la vita - lui lo sapeva bene- perché era stato il personaggio che l'aveva fatto emergere, quello che l'aveva reso famoso e che, nel bene e nel male, volente o nolente, gli era entrato dentro così nel profondo da diventare parte di sé.
Quando le aveva riferito che era d'accordo con la sua scelta, lei gli aveva sorriso infondendogli la più dolce delle emozioni e l'aveva riempito di baci per tutta la sera.
Ginevra era felice, lui appagato e tutto era perfetto, loro due insieme erano perfetti.

«Ivar non si è perso.»

Le disse a bassa voce, accarezzandole i capelli.

«Si che si è perso e dobbiamo trovarlo.»

All'affermazione gelida di Ginevra, Alex si rassegnò. Sapeva che la sua compagna stava per cominciare a delirare, proprio come era successo tante altre volte.

«Ti prego amore, non c'è nessuno da cercare.»

Non aveva intenzione di vederla agitarsi, gettarsi sul pavimento e disperarsi invocando il nome di suo figlio.
Non poteva sopportarlo.

«Perchè?! Perché non vuoi aiutarmi, eh?!»

Si era sciolta dall'abbraccio e aveva cominciato a prenderlo a pugni. Era così che sfogava il suo strazio e lui la lasciava fare, stando fermo ed silenzio, perché se quello era l'unico modo per farla calmare, allora si sarebbe fatto riempire di lividi.
Le percosse erano nulla in confronto al dolore che provava al cuore vedendola ridotta in quello stato.

«Ginevra, Ivar è morto!»

In realtà, suo figlio non era mai riuscito ad aprire gli occhi: era nato morto.
E la sua donna era impazzita per quello.
Lo psicologo gli aveva consigliato di andare cauto con le parole e di comunicare sempre con dolcezza ma Alex era giunto al limite della sopportazione.
Non ce la faceva più.
Si sentiva sfinito, estenuato, stremato.

«Accettalo!»

Si voltò ed estrasse una sigaretta dal pacchetto di camel poggiato sul tavolo di vetro alle sue spalle.

«Come hai fatto tu?»

Chiese Ginevra, guardandolo con gli occhi rossi colmi di lacrime.

«Tu l'hai accettato, uh?! Perché non ti disperi, non soffri come sto facendo io, eh, Alex?!»

«Attenta a quello che dici, Ginevra. Era anche mio figlio.»

«Davvero? Non ti ho mai visto piangere per lui.»

Si stavano gridando contro, puntandosi il dito a vicenda ed avvicinandosi l'un l'altro passo dopo passo.

«Perchè ci sei già tu a farlo per me! Dio mio Ginevra, guardati! Sei uscita di senno, non mangi, non dormi, non vivi. Se impazzisco anch'io, chi si prenderà cura di te?!»

Di sigarette, nel frattempo, ne aveva già fumate tre. Una dopo l'altra.

«Non sapevo di essere un peso per te.»

Ginevra aveva abbassato il tono di voce. Non parse più arrabbiata ma amareggiata, delusa.
E per Alex fu come ricevere una pugnalata.

«Non sei un peso...»

Le disse andandole incontro e avvolgendola con le sue lunghe braccia.

«È solo che vederti così è straziante, mi si spezza il cuore.»

Dio quanto la amava e cosa avrebbe dato se solo avesse potuto liberarla da tutta quella sofferenza.
Alex la comprendeva però. Ricordava limpidamente la sua espressione incredula ed addolorata quando, tenendo in braccio il loro piccolo appena partorito e senza vita, si era voltata verso di lui come a voler chiedergli di fare qualcosa per aiutarlo. Tutto quello che riuscì a fare, invece, fu uscire dalla sala parto ed esplodere in un pianto disperato.
E non era vero quello che diceva Ginevra: lui piangeva spesso per Ivar, ma cercava sempre di non farsi vedere da nessuno, specialmente da lei che era già debole e destabilizzata abbastanza.
Vedere lui star male- Alex ne era convinto- l'avrebbe uccisa.

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