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«A chi affiderò Dragan quando sarò andato?»

La questione che solletica la preoccupazione di Sasha è un'immagine pietosa. Un cucciolo di felino, lasciva morbidezza di pelo, gomitolo fra i gomitoli, si intrattiene con la vita.

Lunghe notti piovose di primavera.

Sasha sistema per l'ultima volta la sua casa, nido d'appartamento, squallore di gioventù, dove ha passato tanto tempo, dove soleva tenere feste per non arrendersi all'orrore della guerra.

Al di là dei vetri la città partorisce rumori di ovatta. Non hanno respiro le stelle. Sono morte da secoli.

Il palazzo di fronte alla porta di Sasha si è ormai abituato ad osservare i passanti sventrato com'è, e impresentabile.

Nel pomeriggio, Sasha ha contato i buchi delle pallottole sul muro. Ventitré colpi. Da suturare. La guerra di Sasha è una guerra di cellule, nervi e morfina. La follia di un meccanismo che produce figli di errori chimicamente perfetti. Non pare ammalato. Qualche angelo deve aver impedito alla vita di mettere le sue manacce su un corpo biologicamente imperfetto.

L'orologio esaurisce le batterie. L'Ombra non è un orologiaio e non ha nessuna intenzione di riparare il meccanismo. Attende nell'oscurità che produce. Spia. Dipana i gomitoli che una creatura selvaggia arruffa.

Sasha deve aspettare una notte intera. Deve convivere meno di dodici ore con il tumore che continua a consumare i suoi ingranaggi.

«Fra poco sarà finita.»

Nessun cocktail, nessun orario, nessuna aspirazione. Punture lombari di zanzare robotiche. Mangime per pesci. Luci abbassate.

Sasha sparecchia la tavola dai resti della cena. Fette di pane e un bicchiere di vino vissuto a metà. Vite vissute a metà. Dieci anni di convivenza sono lunghi, troppi per non decidere di separarsi. L'Ombra osserva i piatti sporchi tornare candidi. Gesti quotidiani.

Sasha getta uno sguardo alla strada dalla finestra della cucina. È la terza volta. L'Ombra sorride e il sorriso sarebbe dolce se non risultasse tagliente, la lama di una falce.

La radio trasmette il penultimo giornale della sera. Sasha ascolta la radio del movimento di resistenza per un cordiale senso di affinità. La musica scorre flebile in sottofondo.

Non si disturbano gli angeli, stanotte.

I piatti scolano in tranquillità. Inquietudini fruttate di limone. La luce della cucina è spenta, la porta aperta. L'Ombra cerca carte per giocare a un solitario. Nascoste in cassetti sigillati giacciono ricette mediche. Colline di cianfrusaglie le ombreggiano, tesori che nessuno deve scoprire.

Un colpo di tosse. Il gattino dorme sulla poltrona, ciambella di colazioni passate. Disordine di gomitoli e confusione di tanti pensieri che la testa non può contenere. I pensieri si accavallano, si divorano, non possono essere trattenuti.

Dolori vanno e vengono.

Sasha è seduto sul divano e respira. Il cuore batte, qualche membra palpita.

«Farebbe differenza se stanotte non piovesse? Forse potrei aspettare una notte serena.»

L'Ombra scuote la testa. E agli ospiti indesiderati è opportuno dare ragione, per questioni di mera cortesia.

Sasha capisce, si rimprovera, non riesce a pensare che a stupide velleità. Meglio lo stordimento della tv. Il tempo di un film e la prima serata si conclude.

Non ottenere niente, a volte, è ottenere tutto.

Durante la sfilata della pubblicità, Sasha vorrebbe tirarsi indietro, telefonare all'amico Vlade, far cessare la tortura di un nervosismo impaurito che vuole accompagnarlo fino alla fine della siringa.

Non cambierebbe nulla.

Il nemico ha scelto di non battere in ritirata ma di avanzare, metro dopo metro, conquistare e ramificare. E quando anche il comandante incrocia le braccia perché nel magazzino le munizioni sono terminate bisogna arrendersi. O morire.

Altro tempo è passato e i rumori si sono appiattiti, assottigliati, una sfera di lana fra le zampe di chi la vita la strapazza senza pudore. Il rumore è finito.

L'ultimo radiogiornale è terminato quarantacinque minuti fa.

Ci sarà musica non-stop fino alle sei del mattino, ora in cui Sasha sarà ancora vivo.

Il dolore si è asciugato. Dragan ha esaurito il suo sonnellino e addenta il pasto. Sasha si dibatte in un dormiveglia lento fatto di ricordi, mezzi sogni storpiati, profumi, umori e odori. La vigilanza del gattino, fiamma grigia fra le mani di niente dell'Ombra, lo disturba.

Fermate gli orologi, fermate la malattia. Fermate questo cuore che batte ma è pieno di ombre, ed è per questo che l'Ombra è presente. Tasta la giugulare del ragazzo. Dieci anni di lacerazioni, lamette e cicatrici.

L'anima è satura.

Le notti piovose di primavera hanno il fascino dei magneti. L'anima attratta si fonde con la dolcezza, tanto da non riuscire più a staccarsene. Sasha fiuta la piacevolezza dell'adrenalina.

Sonni agitati si alternano a veglie d'ombra impaziente. Ma l'impazienza non può essere la virtù delle creature impalpabili.

Quando il cielo schiarisce, il sentore delle sette del mattino prende forma.

Sasha si pettina con cura, apre il gel. Quando si accorge che lo avrebbe lasciato aperto tutta la giornata sorride e lo chiude. Con la lametta si sistema l'ombra nera di barba; indossa un maglione blu a collo alto. Afferra il gomitolo di pelo caldo e si mette a spazzolarlo.

Nessuno sforzo di divincolarsi. Antiche saggezze. Continui flutti di fusa.

Alle otto e quattro minuti, il campanello della porta dell'appartamento partorisce un trillo. Il rumore dell'ultima adunata.

La dolcezza del sorriso di Sasha ferisce Vlade.

Arrivati a questo punto è stupido tornare indietro, Predrag.

Vlade apre la borsa che si è portato dietro. Tre isolati di occhi gonfi. Sasha si sdraia sul divano e alza la manica del maglione. Auto scorrono sull'asfalto bagnato.

Dragan ha ripreso nella sua ostinazione ad arruffare gomitoli. L'Ombra scivola nella siringa, fuoriesce dall'ago per dare l'ultima occhiata alla vita. I soldati tornano a casa senza licenza.

L'oblio cancellerà gli errori di dieci anni di cellule impazzite. Non chiamatelo assassinio – come direbbe l'Ombra – non chiamatelo suicidio.

Dragan ha dipanato i gomitoli e solleva la testa verso il sole. Forse fiuta respiri sempre più deboli.

Valde siede sulla sponda del divano con la siringa tra le mani, l'Ombra prende un filo di lana per ricordo, cattura un ultimo respiro come si cattura una farfalla.

La testa reclinata di Sasha ricorda quella di Dragan fra i gomitoli.

L'Ombra esce per strada, dice qualcosa a un ragazzo che sorride. Poi scivola attraverso il foro di un proiettile nel muro e scompare.

Odore di asfalto bagnato. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 20, 2022 ⏰

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