Notte di novembre. Lo sta fiutando. L'Ombra lo segue scivolando, miele nero nei vicoli, passo trasversale di due cuori. Don ha le gambe stanche e il cuore esausto. L'infortunio alla spalla ha frantumato il sogno. La danza triste che piaceva tanto ai re non può essere messa in scena.
La camminata di Don è lenta, un reduce che non vuole tornare a casa. La sofferenza si mischia alla rabbia, un destino avverso che non esige luce, e tutto il sale delle lacrime da inghiottire per una sete che non sa che aumentare.
Il destino è complice della morte. Don ha partorito lo scoramento. L'Ombra lo sa e segue questo tennista. Era presente il giorno dell'infortunio: era l'ombra dello smash che ha fatto cedere il legamento sotto la spinta.
Il dolore è la sensazione di ciò che non potrà essere come prima. Tornare a casa in serate simili, assistere a sfilate di abitazioni contigue di noia suburbana con la certezza che qualcosa è cambiato, a Don pare un morso di vipera avvinghiata con denti di veleno all'altezza del collo.
Una chiave scatta nella serratura, l'Ombra si appoggia al muro. Mattoni chiari e scuri. Don varca la soglia con il borsone in mano; il piatto corde della racchetta che fuoriesce ha il sapore della vita e della terra rossa. L'Ombra attraversa le corde veloce, un respiro. No, non un respiro: un singhiozzo.
L'interruttore scatta e l'Ombra si occulta dietro un paralume, come l'iride ombreggia dietro l'occhio socchiuso. Luce intermittente di frigorifero. Ronzii di tv accese al di là delle pareti e un'apatia nauseante e densa. Volontà di nascondersi.
Nella mente di Don si rincorrono spezzoni di frasi e immagini in slow-motion. Torture umorali.
L'Ombra adesso non ha mente, il suo pensiero è il pensiero di Don; la testa del ragazzo è confusa e l'Ombra sorride. Confusione di radiografie, profumo di ospedale e terra rossa. Don si accarezza il dragone tatuato sull'addome con una mano ruvida di racchetta e umida di bottiglia di birra gelata.
La valutazione ha sempre un margine d'errore, e dove c'è lo sbaglio o l'ombra del dubbio, ecco lì si trova l'Ombra, il figlio della luce lunare. Don non potrà più giocare a tennis, sono state le parole del medico e le parole vane, a volte, hanno consistenza e diventano qualcosa di palpabile. Parole che si sono posate su una spalla ferita.
Rovesciato all'indietro sulla sedia, Don pensa alla purezza di pillole bianche. La sua ombra è allungata sul pavimento fino a sfiorare l'Ombra in un dialogo intimo e privato.
Magliette bianche e blu sul tavolo. Ghiaccio in busta e fasce grigie.
Dalla radio di un vicino, chissà per quale strano effetto di giochi di vento, giunge chiara una voce soffice e vibrante – Non farlo.
Il pianto di Don rompe l'aria e le lacrime sono semi, e i semi germoglieranno se nessuno strapperà la radice. Ogni lacrima produce un'ombra. L'Ombra attende. Lo sportello dell'armadietto dei medicinali è aperto, manca un flacone.
Forse non esiste un'unica uscita dal campo da tennis. Ventiquattro anni e ventiquattro ore. Dov'è l'Ombra?
Don resta rovesciato sullo schienale della sedia, la testa reclinata all'indietro, lacrime ferme ai bordi degli occhi, macchine ai semafori. Dal flacone non manca nessuna pillola. Confetti bianchi, dolcezze di sonnolenza.
Dormi sereno, Don.
Profumo di dolore e di terra rossa.
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L'Ombra
FantasyLa luna si sente colpevole, stanotte. La sua luce di latte produce le ombre, forme proiettate ovunque. Lei l'ha creato e non può distruggerlo. Può occultarlo per qualche giorno al mese, ridurre la sua energia. Ma lui è ovunque, ormai. È il passo del...