Prologo

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Stiles apre a fatica gli occhi, voltandosi verso la piccola finestrella da cui entra un flebile raggio di sole. Secondo i suoi calcoli è chiuso in quella stanza da più o meno tre giorni. Tre giorni da quando è stato fatto prigioniero. Tre giorni da quando quella gente ha invaso il suo regno e distrutto la sua vita uccidendo la sua famiglia e buona parte dei suoi amici. Tre giorni in cui non ha smesso di chiedersi perché, invece, lui è ancora vivo, chiuso in quella camera, da solo. Ha ricordi confusi e annebbiati del giorno in cui è successo: non aveva chiuso occhio tutta notte perché una sentinella aveva avvisato suo padre di strani movimenti nel bosco circostante. Stiles era stato costretto a restare nelle sue stanze, quindi non era riuscito a capire esattamente cosa stesse succedendo. Normalmente avrebbe disubbidito al padre e sarebbe sgattaiolato fuori ma la preoccupazione negli occhi di Noah, suo padre, lo avevano convinto a comportarsi come ci si sarebbe aspettati un bravo figlio. Era uscito da quella camera solo la mattina seguente, quando uno strano trambusto lo aveva allarmato. Aveva preso il piccolo pugnale che aveva tenuto sotto il cuscino durante la notte ed era corso nella sala del trono. Poi, nella sua mente, tutto diventa confuso. Ricorda di aver visto suo padre a terra, a fianco di sua madre, di aver tentato di raggiungerli ma di essere scivolato su qualcosa di viscido e rosso che ricopriva il pavimento, il pugnale che scappa dalle sue mani. Poi le urla, il rumore di una colluttazione, un colpo che lo costringe a restare a terra, delle mani che lo strattonavano e lo trascinavano via da quella stanza nonostante le sue proteste. Aveva urlato fino a quando non era stato rinchiuso in quella camera adibita ad alloggi per la servitù. Da quel giorno, nessuno è più entrato lì dentro dopo che è saltato addosso alla guardia che gli stava portando da mangiare. Se n'è andata poco dopo aver finito di pestarlo e non è più tornata, e lui ora è affamato, infreddolito, confuso e solo, dannatamente solo.
Un rumore attira la sua attenzione, cerca di voltarsi verso quella direzione ma la testa gli pulsa terribilmente costringendolo a chiudere gli occhi. Si sforza di riaprirli e mettere a fuoco la figura che, ora, si è avvicinata e gli è davanti. I suoi occhi si muovono velocemente su di lui e Stiles non riesce bene a capire di che colore sono. Però, per qualche ragione, gli sembrano familiari ma, in quei giorni, troppi sogni si sono mischiati alla realtà. Come quando ha sentito Lydia, la sua promessa sposa, chiamarlo e invitarlo a passare del tempo con lei nel bosco. La sua pelle era così soffice sotto le sue labbra e i suoi respiri così lievi. Era sopra di lei, si stavano accarezzando e scoprendo, quando un rumore aveva attirato la sua attenzione e due occhi verdi si erano incatenati ai suoi fino a quando non era venuto. «Ti hanno conciato male!» sussurra l’uomo riportandolo alla realtà. Sembra più parlare a se stesso che a lui, ma Stiles ci tiene a far sapere a chiunque sia quello, che è ancora cosciente, vivo e che non si lascerà comunque abbattere. Apre le labbra per rispondere e si sorprende quando solo un misero lamento risale dalla sua gola. L’uomo si abbassa alla sua altezza e, per un momento, Stiles è quasi sicuro che lo stia annusando. Si rialza subito dopo e lo solleva come se non pesasse nulla. Stiles vorrebbe davvero, davvero ribellarsi, dirgli che non è d’accordo, che non vuole andare da nessuna parte con lui, ma si sente debole e la testa comincia a girargli fino a vedere tutto nero.

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