3. Corsa contro il tempo

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-«Lui, cosa?» gli chiesi sgranando gli occhi. Ma non è possibile che uno faccia queste cose e con questa tranquillità.
«Non so perché, ma non ne sono poi così sorpresa» commentò la mia migliore amica, finendo il suo piatto di pasta.
«La vera domanda è che cosa gli abbia risposto tu?» Se gli avesse detto di venderlo, l’avrei strangolato a mani nude.
«Ma… lui mi ha detto che ha una cover bianca, quindi ho dato quasi per scontato fosse tuo, inoltre non te l’avevo visto in mano» girovagò intorno alla domanda senza rispondere veramente.
«Edoardo, che cosa gli hai detto?» insistetti.
«Ne hai tanti, su!» rispose sventolando la mano in aria.
«Tu… gli hai veramente suggerito di venderlo?» urlai andandogli contro, ma la sorella mi tenne per le spalle. Lui allontanò il braccio con il telefono stretto nella mano e si sporse a bordo della sedia per allontanarsi da me.
«Piccolo diavolo, tieni le tue manacce apposto» schivò dandomi un nomignolo tutto nuovo. Ma che cazzo, piccolo diavolo? Ma che problemi ha?
«Grandissimo stronzo,» lo rinominai io, «dì al tuo fottutissimo amico di non vendere il mio telefono e ridarmelo» gli urlai contro. Lui si avvicinò pericolosamente e quasi riuscii a percepire il suo fiato sul viso. Nello stesso momento la presa della mia migliore amica sulle mie braccia aumentò, nel tentativo di tirarmi indietro o almeno impedirmi di avvicinarmi. A quel punto, l'unica cosa che volevo era dargli una testata tanto forte da levargli quel sorrisino sfrontato dalla faccia.
Tutto ciò che riuscii a ottenere fu una sfida di sguardi interminabile dove i nostri occhi, quasi della stessa tonalità di verde, continuavano a cercare un punto debole nello sguardo dell'altro per attaccare. I suoi occhi si abbassarono per qualche attimo, ma non feci in tempo a capire dove fossero diretti, che lui li riagganciò ai miei.
«Modera i termini con me» minacciò facendo sparire il suo sorriso giusto il tempo di dire questa frase. «E comunque gli dirò di conservarlo e magari, sottolineo magari, potrei dirgli di portartelo a scuola.» Il suo sorrisino irritante e sfrontato ricomparì e io mi maledissi mentalmente di non averlo colpito. «Però…»
«Ovviamente c'è un però» borbottai interrompendolo. Il suo sguardo prima mi fulminò e poi si allargò con un ghigno.
«Però» riprese, «voglio una cosa in cambio.» Con la soddisfazione stampata sul volto, si avvicinò ancora un po’, questa volta facendomi sentire veramente il suo fiato addosso.
«Edo…» pronunciò piano la sorella per attirare la sua attenzione e allontanarlo da me. Con uno scatto cercai di liberarmi dalla stretta della mia amica, ma lei mi tenne più forte, mettendosi in piedi alle mie spalle. «Lu…» richiamò anche me, ma senza avere risultati da nessuno dei due.
«Cosa vuoi?» domandai a denti stretti senza staccare gli occhi dai suoi. Lui abbassò nuovamente lo sguardo e per un attimo credetti che mi stesse guardando le labbra, ma non ebbi abbastanza tempo per accertarmene.
«Un favore» spiegò scrutando il mio sguardo alla ricerca di qualcosa, «e prima che tu lo chieda,» proseguì mentre stavo per aprire bocca, «ancora non so quale né quando, ma sei in debito di un favore con me ed è meglio che tu te lo ricorda bene» concluse allontanandosi e tornando a finire il suo piatto di pasta. Anche io tornai al mio pranzo, tranquillizzando Katerina e senza aggiungere altro.
Poteva sembrare un niente tutta questa storia per un semplice cellulare, considerata la situazione economica ne avrei potuti acquistare più o meno uno al giorno. Anche se di telefoni potremmo averne a milioni, sappiamo bene quanto valore abbia nascondere ogni parte di sé. Niente che non sia adatto a giornali, interviste, al nome della propria famiglia, non può mai venire a galla.
Una falsa notizia di sé, anche se con il solo dubbio di una traccia di verità, si tramuta in una succulenta notizia da far girovagare tra le persone, a volte perfino per mesi e mesi. Anche se non ci fosse nulla di compromettente nel mio telefono, non ci metterebbero tanto a distorcere le cose e ritorcerle contro a me o qualcuno che io conosca.
Se sapevo una cosa con certezza, era che anche se le persone mi rivolgevano dei sorrisi, nessuno di questi era sincero. Erano di circostanza magari, o semplicemente di paura, di rispetto o pieni di risentimento, rabbia e vendetta. Sinceri mai.
Più o meno quarantacinque minuti dopo, nella camera di Katerina, sdraiate sul letto, le raccontai la serata.
«Come stai messa con la memoria?» le chiesi mettendomi di schiena sul materasso e le mani sulla pancia.
«Lucia, mi sono ubriacata, non è che sono finita in coma etilico senza alcun ricordo, eh» mi prese in giro, senza sapere che l'abbinata sbronza e botta alla testa non stava lasciando molto spazio ai ricordi della serata.
«Beata te» mormorai attirando la sua attenzione, così mi spiegai meglio. «Ho ricordi confusi e frammentati, a quanto pare è stata una bella botta» puntai l’indice alla tempia per sottolineare il mio discorso.
«Amy ha detto che sarebbe potuto succedere, ma è questione di ore. Appena ti sentirai meglio, vedrai che riaffiorerà tutto alla mente.»
«Oh, una cosa non me la scordo sicuro…» Le raccontai tutto del misterioso ballo e quei pochi momenti che mi tornavano alla memoria.
«Era Davide!» sgranò gli occhi. «Davvero?» sembrava quasi non credesse fosse plausibile come cosa.
«Sì, era lui. Cioè non l’ho visto eh, però sono sicura fosse lui.»
«Non l’hai visto? Come fai ad avere la certezza?» Stetti per risponderle, ma qualcuno bussò alla porta interrompendomi.

Ali di Cristallo - The Wings Series Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora