Track XXX - Funiculì Funiculà

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"Dicono che quando incontri l'amore della tua vita il tempo si ferma... ed è vero."

Mi sovvenne, come un flash di fronte agli occhi, la scena di Big Fish in cui il protagonista incontra per la prima volta quella che diventerà sua moglie: il casino del circo attorno a lui si ferma, i popcorn rimangono sospesi in aria come colti da trance, un raggio di luce affetta l'oscurità della sala a metà, col solo obiettivo di illuminare lei al centro del microcosmo che si è interrotto al suo cospetto.

Non potrei descrivere nulla di più vicino al modo in cui mi parve di vivere quel momento.

Elena era a pochissimi passi da me, a quattro anni esatti da quella maledetta sera in cui mi aveva lasciato e, tanto il mio corpo quanto il mio cervello, stavano facendo una fatica enorme a realizzare e metabolizzare il fatto di aver vissuto senza di lei così a lungo.

Ebbi un sussulto che non seppi distinguere se di incalcolabile emozione o pura paura: non sentivo più il mio cuore battere.

Deglutii con forza per cercare di tornare a provare qualcosa, per capire se il mio organismo fosse ancora in funzione o se avesse deciso di abbandonarmi a me stesso e al caos che si stava impadronendo di ogni mio atomo.

D'un tratto riuscii di nuovo a captare i suoni, i movimenti, la corrente d'aria fredda che arrivava dai due corridoi ai lati del cortile e si scontrava in mezzo all'aiuola, giusto al centro del mio sterno. La pelle d'oca mi pizzicò l'epidermide dappertutto, provocandomi una fitta di dolore, ma non saprei dire se la causa fosse davvero quella botta di vento.

Infine avvertii anche il tocco di Teresa sul mio braccio e, poi, due sue botte veloci sulla schiena per spingermi in direzione di Elena, incoraggiandomi con lo sguardo.

Ormai ero a meno di un paio di metri da lei, ipnotizzato dalla sua schiena dritta e larga, forte e sensuale come la ricordavo, in attesa che si versasse il bicchiere di sangria sul tavolo su cui era piegata.

Quando si voltò, pochi secondi dopo, capii che anche se io l'avevo già scrutata a lungo da lontano lei, invece, non mi aveva visto, né era a conoscenza del fatto che fossi anch'io lì quella sera. I suoi begli occhi divennero vitrei, la bocca si spalancò in un'espressione di contorto stupore e il bicchiere che si era appena versata le scivolò via di mano. Il vino colpì entrambi senza pietà; tracciò una lunga striscia scarlatta sul pallido color crema del suo abitino corto e costellò di pois irregolari il mio jeans scuro.

– Oddio, cazzo! Scusa... – urlò, e l'incarnato della sua faccia assunse lo stesso colore del vino che aveva appena schizzato.

Cristo. Mi stava parlando.

Non solo, mi stava addirittura toccando.

Aveva arraffato un pugno di tovaglioli dalla tavola e, dopo avermi battezzato anche con un intero bicchiere d'acqua sul pantalone, aveva preso a grattare il tessuto con la stessa foga di una lavandaia alla fontana.

Piccolo Filippo, ti prego, stai buono.

Per quanto non mi dispiacesse averla finalmente di nuovo addosso, anche se in quel modo così improvviso e assurdo, le afferrai con delicatezza le spalle per interrompere la sua furia pulitrice e sussurrai: – Non è successo niente, Lenù! Il tuo vestito sta molto più inguaiato del mio jeans.

Lei si paralizzò, imbarazzata. Alzò piano gli occhi verso i miei, in un attimo di silenzio che sembrò eterno. Poi, del tutto inaspettato, mi rivolse uno di quegli enormi, bellissimi sorrisi che non avevano eguali sul viso di nessun'altra: – Ciao, comunque. Da quanto tempo, eh?

Non lo avevo mai dimenticato, il motivo per cui mi ero innamorato così disperatamente di lei. Elena riusciva a essere, senza sforzo o premeditazione alcuna, sia rigorosa che goffa, sexy e anche tenera, seria e leggera, tutto allo stesso tempo. Mi 'mbriacava il cervello, oltre che i vestiti.

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