Track XVI - Torino, Club2Club

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Mi riusciva letteralmente impossibile mettere a fuoco con chiarezza tutto quello che era successo durante quel folle 2017, e mancavano ancora diversi mesi alla fine dell'anno.

L'estate mi sfrecciò davanti, veloce come un proiettile, all'insegna di crampi allo stomaco forti e continui.

Iniziarono con la prima visione del lavoro completo di Francesco sul video di Gaiola Portafortuna. Nella storia che si era messo in testa di raccontare (incorniciata da una scenografia mozzafiato che pareva caraibica nonostante fosse Castel Volturno), una ragazza restava delusa dal suo lui per la serie di cazzate imperdonabili che aveva impilato fino al punto di allontanarli definitivamente.

Francesco mi aveva colpito ancora una volta nel profondo: senza neanche saperne niente, c'era finito un pezzo della mia vita vera scolpita sulla sua pellicola.

Quando mi lanciò un'occhiata indagatrice, alla fine della visione che mi aveva inumidito gli occhi di nostalgia e disagio, prese a difendere le sue scelte stilistiche: gli attori neri, l'atmosfera cubana, i balletti... Forse si era pensato che non mi fosse piaciuto, però non diedi troppo ascolto alla sua arringa. Sia perché ero distratto dal mio fitto dolore interiore ma, soprattutto, perché aveva di nuovo creato un capolavoro ineccepibile e non c'era nient'altro da dire.

Era quindi tutto pronto per uscire il 19 settembre, una data che già di per sé era tutta un programma.

Altri crampi vennero proprio a seguito dell'uscita del video su YouTube, quando la valanga di commenti carini ed entusiasti fu oscurata dalle solite quattro teste di cazzo che si erano sentiti in diritto di insultare e lamentarsi del colore della pelle dei protagonisti di Gaiola Portafortuna.

Perlomeno fummo subito travolti e distratti dalle celebrazioni per il premio che mi avrebbero consegnato al San Gennaro Day la settimana successiva (che proprio Francesco sarebbe andato a ritirare al mio posto), e bevemmo per tutta la sera come se fosse l'ultima della nostra vita.

Ottobre fu il mese dei crampi più fitti: io e Gennaro passammo insieme un giorno sì e l'altro pure, per le esercitazioni non-stop in vista del live di Torino. Mi presi una serie di bestemmie e kitemmuorti da lui, quasi quotidianamente, perché ero teso, preoccupato e paranoico; non mi riusciva di nascondere quelle sensazioni neanche provandoci con tutto me stesso, tantomeno con lui che sarebbe salito sul palco insieme a me.

Invece Gennaro proprio non ce la faceva a comprendere come potesse non rilassarmi l'idea di esibirmi da "celebrità privilegiata" avvolta dallo "scudo infallibile" che, secondo lui, mi concedeva l'anonimato.

Non era facile da spiegare, il disagio mentale derivante da quella doppia vita e doppia personalità.

In parte, forse, ero io stesso la prima vittima dell'"effetto Superman": indossando gli abiti che Antonella, la costumista del team, scelse per lo spettacolo, avevo quasi l'impressione di vestire un costume di scena come farebbe un attore.

Okay, ora ho la felpa in testa e la bandana in faccia, quindi sono LIBERATO, era il pensiero che mi scattava in capa. Non lo avvertivo come un "Filippo che si veste per esibirsi", era una sensazione estremamente più complessa.

Provavo e riprovavo a spiegarlo in tutte le salse e a confrontarmi con Gennaro sul perché non si sentisse così anche lui visto che, dopo tutto il lavoro fatto insieme culo e camicia, lo ritenevo essere a tutti gli effetti LIBERATO tanto quanto me. O almeno un fifty-fifty.

Lui mi arronzava, faceva spallucce e aggrottava la fronte: perché lui, con la felpa addosso, restava Gennaro tanto quanto lo era senza e, a suo parere, il fatto che il mondo mi conoscesse col nome di LIBERATO non mi rendeva "meno Filippo" sotto agli outfit per gli show.

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