Una boccata di ossigeno - parte 1

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Quando torno a casa dal lavoro, trovo Serena sul divano, sta guardando un film d’amore e le lacrime stanno scendendo a fiumi sul suo viso. A volte mi spaventa la sua emotività, non l’ho mai vista piangere tanto come in questo periodo.
«Amore, sono tornato». Mi annuncio appendendo la giacca a una sedia. Mi slaccio la cravatta, la sfilo e la sistemo sopra la giacca.
Lei si asciuga gli occhi con le mani e mi sorride. «Ciao».
Che bello sentire nuovamente la sua voce. Mi sono trattenuto tutto il giorno, con il telefono in mano e il dito già pronto a far partire la chiamata, ma ho voluto resistere, ho dovuto farlo. Mi inginocchio ai suoi piedi e poso la guancia sul suo ventre, vorrei tanto poter sentire i nostri figli. Un braccio finisce sulla mia schiena, le sue dita mi accarezzano dolcemente i capelli.
«Mi dispiace per stamattina, non avrei dovuto alterarmi in quel modo», mormora con voce tremante.
«Scusami tu, amore. Non dovrei trattarti come se fossi malata, dovrei lasciarti i tuoi spazi», le dico avvolgendole il busto con le braccia e stringendola a me. «Vi amo più della mia stessa vita e voglio solo il meglio per voi».
Lei mi solleva il viso e mi obbliga a guardarla: i suoi occhi verdi come non mai sono colmi di lacrime. 
«Andiamo via un paio di giorni, solo tu ed io, cellulari spenti, nessuno che possa stressarci. Ho bisogno di tranquillità, di una boccata di ossigeno, di stare con te senza preoccupazioni». Parlo a ruota libera, esponendole quello che vorrei fare. Lei mi accarezza il viso, appoggio la guancia sul palmo della sua mano, adoro essere sfiorato da lei.
«Non riusciamo nemmeno più a parlare e questa cosa mi destabilizza. Vorrei dirti molte cose, tornare a dirci tutto come abbiamo sempre fatto», continuo senza staccare gli occhi dai suoi. «Ho paura di perderti, di perdervi e io morirei senza di voi».
Le lacrime tornano a scendere lungo le sue guance, le asciugo con una mano.
«Ti va di staccare la spina per due giorni? Scappa con me». La supplico con lo sguardo e lei, dopo un attimo di esitazione, annuisce con decisione, un sorriso a illuminarle finalmente il viso.
«Scapperei ovunque con te», dice prima di regalarmi un bacio dolcissimo che approfondisco un istante dopo.
 
Ora non mi resta che pensare a un posto dove portarla. Non mi va di farla viaggiare troppo, perciò ci vorrebbe una meta non troppo lontana. Non dobbiamo fare chissà che cosa, abbiamo solo bisogno di passare del tempo insieme e rilassarci. Non ha nemmeno senso spendere dei soldi per alloggiare in un hotel, non tanto per il costo, ma per quello che dobbiamo fare. Ci vorrebbe un posto immerso nel verde, che emani tranquillità da ogni angolazione. Mi infilo sotto la doccia e continuo a pensare a un posto che potrebbe fare al caso nostro.
Appoggio le mani contro le piastrelle e lascio che l’acqua tiepida porti via un po’ della tensione che ho accumulato oggi. Se penso a quel Leonardo, mi sale ancora la rabbia. Non ho mai avuto a che fare con ragazzini viziati, cui sembra sempre tutto dovuto e che si credono migliori di tutti gli altri. Non mi piacciono i favoritismi e avrà la mia stima solo dopo essersela guadagnata, se mai ci riuscirà. Allontano quelle immagini dalla mia testa e davanti agli occhi mi appare la casa sul lago. Perché non ci ho pensato prima? Potrebbe essere un modo per capire se ci piacerebbe davvero vivere lì insieme. La proposta della mia famiglia è sempre valida, ma noi non ne abbiamo mai davvero parlato. Credo che sia giunta l’ora di farlo e prendere una decisione a riguardo. Le nostre famiglie hanno ragione, questo appartamento è inadeguato per crescere due bambini, abbiamo bisogno di più spazio. Diablo adorerà il giardino, ne sono certo.
Esco dalla doccia e mi avvolgo un asciugamano in vita, indosso le ciabatte e raggiungo Serena in salotto. Devo aver lasciato la scia di acqua lungo tutto il tragitto, dopo passerò lo straccio e asciugherò i miei danni.
Serena mi osserva divertita e prorompe in una risata cristallina che mi riempie il cuore di una felicità esagerata. Mi era mancato sentirla ridere di gusto.
«Dove credi di andare conciato in quel modo? Per non parlare del fatto che stai allagando casa». Afferra un lembo dell’asciugamano e mi attira più vicino a sé.
«Avevo urgente bisogno di chiederti una cosa, non potevo aspettare di asciugarmi e vestirmi». Diablo mi lancia un’occhiataccia dopo aver gesticolato con una mano, devo averlo colpito con qualche goccia d’acqua e si sa che i gatti non ne sono molto amanti.
«E quale sarebbe questa domanda?». Mi slaccia l’asciugamano e spia al suo interno, emettendo un mugolio di apprezzamento. Queste sue attenzioni mi fanno davvero piacere e qualcosa si risveglia al solo pensiero delle sue dita su di me.
Mi gratto distrattamente il mento, ho perso il filo del discorso quando le sue labbra hanno sfiorato il mio ombelico.
«Sto ancora aspettando», mugugna lei scendendo più in basso. Chiudo gli occhi e poso le mani sulle sue spalle, aggrappandomi per non cadere.
Devo ammettere che non capisco più niente ogni volta che fa questi giochetti con me.
«Non mi ricordo», farfuglio mentre mi sta donando un piacere unico.
«Vuoi che smetta?», domanda maliziosamente staccandosi dalla sua fonte del desiderio.
«Se lo fai, mi uccidi», borbotto ancora con gli occhi chiusi.
A queste mie parole, riprende da dove mi aveva lasciato. Amo questa donna, la amo per un milione di motivi diversi.
«Che cosa volevi chiedermi?». Serena si sdraia sul divano e mi lascia un po’ di posto accanto a sé, ne approfitto immediatamente. Mi stringe forte per non farmi cadere a terra e io mi perdo completamente nei suoi occhi.
«Che ne pensi di passare quei due giorni nella casa al lago?», le chiedo spostandole una ciocca di capelli, mettendogliela poi dietro l’orecchio. «Potrebbe essere una prova per decidere successivamente che cosa fare».
Lei sembra pensarci un attimo e poi risponde: «Penso sia una buona idea. Non avevo voglia di andare in un luogo lontano».
«Allora è deciso. Sabato ti rapisco», esclamo con decisione, appropriandomi, un istante dopo, delle sue labbra.
 
Nei giorni precedenti la nostra fuga, ho chiesto a mia madre di prestarmi Lidia, la signora che la aiuta da sempre con i lavori domestici. Volevo che la casa si presentasse al meglio per l’arrivo della mia donna. L’ultima volta che avevamo messo piede lì dentro era Aprile, per il compleanno di Serena. La casa non era stata aperta da allora e c’era un bel po’ da fare. Mia madre mi ha rassicurato, dicendomi che avrebbe pensato a tutto lei e l’avrebbe resa presentabile e vivibile. Ha mantenuto la sua parola.
Varcata la soglia di casa, un profumo di pulito mi riempie le narici.
«Futura signora Rossini, benvenuta nella nostra possibile dimora». Le porgo la mia mano, che lei prontamente afferra e la accompagno all’interno della villa.
Mia madre ha fatto le cose in grande: i mobili sono diversi dall’ultima volta che siamo stati qui, c’è perfino un divano nuovo di zecca al centro della grande sala, un televisore enorme è appeso in fondo alla parete. Anche le tende sono nuove e raccolte al centro con delle calamine a forma di farfalla. Serena si porta una mano alla bocca per lo stupore; la mia bocca, invece, deve essersi spalancata e la mascella ormai tocca terra. Che diavolo è saltato in testa a mia madre?
Tengo stretta la mano di Serena e la trascino in cucina: tutto nuovo anche in questa stanza. Apro gli armadietti, trovando servizi di piatti mai usati, bicchieri, tazzine, posate, tutto appena comprato. Non riesco a dire una sola parola.
Continuo a trascinare Serena lungo il corridoio, fino a raggiungere quella che dovrebbe essere la camera padronale. La mia donna si siede sul letto, guardandosi intorno con la bocca aperta.
«Che cosa è successo a questa casa?», chiede con voce tremante.
Mi siedo accanto a lei e fisso il nuovo guardaroba che emana ancora un forte odore di legno. Davanti alla grande finestra che dà sul giardino c’è una cassapanca che può essere usata come un divanetto, dove potersi sedere a leggere, guardando il lago poco più in là.
«Ho solo chiesto a mia madre di dare una pulitina. Non avrei mai immaginato che si mettesse a rivoluzionare tutta la casa», rispondo quasi in un sussurro. Per essere rimasto senza parole, deve avermi davvero sconvolto.
«Non può avere fatto tutto in meno di una settimana». Mi fa notare Serena prendendo una mia mano e stringendola nelle sue.
«Dici che avesse già deciso di rimettere a nuovo la casa per noi?». L’idea non mi sembra nemmeno tanto assurda, conoscendo come ragiona la mia genitrice, ma mi fa strano che non me ne abbia mai parlato.
«Non lo so, ma la sensazione è questa», dice lei stringendosi nelle spalle.
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, prima di decidere di alzarci e controllare anche il resto delle stanze. Rimaniamo di sasso quando vediamo la stanza che dovrebbe essere dei nostri figli: è stata ridipinta di fresco, ci sono dei mobili in legno che vanno bene qualunque sia il sesso dei bambini, c’è perfino una culla in mezzo alla stanza e dei pupazzi al suo interno.
«Oh mio Dio», esclama Serena scoppiando in lacrime.
La stringo tra le mie braccia e le massaggio dolcemente la schiena.
«Forse mia madre ha esagerato questa volta», le dico baciandole la fronte. Il suo pianto sembra un segnale negativo, probabilmente si sente sotto pressione. La mia genitrice non avrebbe dovuto risistemare la casa per noi, senza ancora sapere se noi avremmo mai accettato.
Serena comincia a scuotere la testa, mi sto spaventando non poco. Le prendo il viso tra le mani e le bacio la fronte.
«Dillo con parole tue, Flounder. Se questa casa ti fa schifo, possiamo trovare un altro posto dove andare. Non abbiamo l’obbligo di trasferirci qui e non dobbiamo nemmeno deciderlo in questo momento». Non voglio che si senta in dovere di assecondare mia madre e la sua mania di grandezza.
«Questa casa è», comincia tirando su con il naso. «Semplicemente perfetta. La adoro, adoro tutto».
«Davvero?», chiedo frastornato. Dalla sua reazione credevo che odiasse questo posto. Non ho capito proprio niente insomma!
Lei annuisce, pulendosi il naso su un fazzoletto di carta che teneva nella tasca dei suoi pantaloni comodi.
«Davvero. È bellissima, amore. I tuoi non avrebbero dovuto pensare a tutto però», dice posando entrambe le mani sul mio petto e guardandomi negli occhi.
«Questo lo so anch’io», ammetto in un sospiro.
«È stato davvero gentile da parte loro, ma restituiremo loro tutto quello che hanno speso. Un po’ per volta». Si guarda in giro un attimo e poi aggiunge: «Probabilmente per i prossimi trent’anni dovremmo farcela».
Scoppia a ridere un istante dopo e mi unisco a lei. Non ha tutti i torti. Sicuramente non hanno speso poco per risistemare tutta casa e non voglio nemmeno accettarla senza dare loro qualcosa.
«Accenderemo un mutuo per pagare i miei». Avvolgo il suo busto con le braccia e la attiro nuovamente a me. «Qualcosa ci inventeremo. L’importante è che a te piaccia l’idea di vivere qui con me».
«Direi che mi piace tantissimo». Mi sorride raggiante, baciandomi poi le labbra. «Non so se te l’ho mai detto, ma io ho sempre sognato di potermi permettere una casa sul lago un giorno».
«No, non me lo avevi mai detto». Questa mi mancava e sono davvero felice di poterle dare quello che tanto desiderava, non potrei esserlo di più. «Ora che lo so, penso che questa sarà la casa in cui cresceremo i nostri figli».
Le iridi verdi come smeraldi di Serena stanno brillando come non mai in questo momento, e io mi sento l’uomo più fortunato al mondo. Quando abbiamo deciso di andare a vivere insieme non era previsto un trasloco, ma ora che vedo questa casa, preparata apposta per noi, mi rendo conto che è semplicemente quello di cui abbiamo bisogno.

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