CAPITOLO 1

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"Liz, Liz.. salvati"

"Mamma...mamma.. AH"

Respira... lentamente.

Mi sveglio di soprassalto, il respiro affannoso.

Corro in bagno, specchiandomi in un'immagine pallida, ornata da profonde occhiaie.

"Dannato incubo." Sbatto il pugno sul lavandino.

È sempre quello, sin da quando ne ho memoria.

Il buio che mi circonda e poi la voce di mia madre.

Sono orfana, credo sin dalla nascita. La direttrice dell'orfanotrofio dove fui abbandonata a pochi mesi di vita mi raccontò che i miei genitori morirono in un tragico incidente e, come uno scherzo crudele del mio misero destino, fui l'unica a sopravvivere. Di loro non possiedo alcuna foto, né un biglietto, nulla. Solo il mio nome, scritto elegantemente su un foglietto: "Elizabeth Longwood".

Quando volli indagare, la direttrice mi intimò più volte di non fare domande e, sotto il suo sguardo severo, temendo di aggiungere altre cicatrici al mio corpo, obbedii. 

Spesso, rintanata nella mia piccola stanza, trascorrevo le ore a sognare che qualcuno, magari qualche lontano parente sconosciuto, venisse a portarmi via. Ma invece, eccomi qui, dopo quasi venti anni, ancora tra queste grige mura, in compagnia di un topo solitario che ogni tanto rubacchia qualche mollica di pane, o ancora con dei ragnetti che abitano negli angoli del soffitto. 

In orfanotrofio siamo rimaste in quindici; molte sono state adottate e, col passare degli anni, tante altre sono arrivate. Forse proprio per questo non riuscivo ad interagire con le altre. 

Durante tutti questi anni, parlai solo con una bambina, Annica era il suo nome. Giocavamo insieme e passavamo ore a decorarci i capelli a vicenda, con i fiori di un piccolo cespuglio situato ai lati delle scale d'ingresso della tetra struttura.

Ma come ogni cosa bella della vita, anche lei mi fu portata via da una famiglia che decise di adottarla.

Mi isolai ancora di più, sperando che prima o poi qualcuno arrivasse a portarmi via. Ma non fu così. 

Io ero sempre evitata da chiunque venisse a vederci: ero quella troppo magra, troppo brutta e adesso anche troppo vecchia.

Annuso il suo fazzoletto nel vano tentativo di percepire ancora il suo odore.

Mi manca.

Il prossimo mese compirò vent'anni, l'età massima per essere ospitata qui, e se non trovo una casa, mi ritroverò per strada, senza un tetto sulla testa e probabilmente morirò di fame.

Sempre meglio che continuare a vivere questo inferno.

"Beth la racchia." 

"Beth la racchia."

"Dove sei?"

Eccole, di nuovo.

Il mio tormento.

Ogni mattina seguivamo le lezioni, con un'unica insegnante che ci insegnava italiano e matematica.  Anche se leggere lo ritenevo interessante, ciò che mi appassionava erano i numeri, la logica. Queste lezioni erano le uniche ore in cui potevo essere al sicuro. Il pomeriggio, invece, portava con sé i veri problemi. Per gli altri era lasciato allo "svago"; per me? Per me c'erano in serbo altri piani, che portavano il nome di Molly e Sarah.

"Sei qui, sporca orfanella."

"Allora, come ci farai divertire oggi?"

Erano due perfide ragazze, le sorelle Molly e Sarah.

Molly era una ragazza mingherlina, con biondi capelli raccolti in trecce disordinate. Era il cervello bacato della coppia.

Sarah, invece, aveva un faccione così grosso che gli occhi chiari si vedevano appena; la sua corporatura era più robusta della sorella, ed era quella che menava. 

Quando ero più giovane, scappavo ogni volta che provavano a prendermi e, nonostante fossi abbastanza veloce, con l'età capii che nascondermi non serviva a nulla, perché sarebbero sempre riuscite a trovarmi.

Dirlo a qualcuno, oppormi, tutto inutile e avrebbe solo peggiorato le cose. Qui vige la regola del non vedo, non sento e non parlo, ognuno troppo impegnato ad autocommiserarsi o troppo spaventato.

Inoltre, sapevano tutti che io, una ragazzina con addosso qualche straccio di indumento sformato, riciclato e conservato, minuta e sola, fossi il loro passatempo preferito.

Non piansi mai, però.

Conservavo quelle lacrime come se fossero l'ultima goccia di orgoglio rimastami.

Così attesi che mi prendessero e mi portassero nel solito sudicio bagno e, quando la mia faccia veniva ripetutamente immersa nell'acqua del wc, desiderai di soffocare davvero. Sentivo ovattate le loro risate, mentre dicevo a me stessa di sopportare, che presto avrebbero smesso.

Stavolta però accadde qualcosa. Una forte morsa mi attanagliò lo stomaco e un calore mi pervase da capo a piedi.

Pensai "è finita".

Invece, poco dopo, avvertii la loro presa venir meno.

Con una nuova forza, mi rialzai, annaspando alla ricerca del mancato ossigeno.

"COSA CI HAI FATTO STREGA!" Sbraita Molly, mentre Sarah inizia a strillare.

Ancora attonita, guardo le loro mani che riportavano gravi ustioni.

Provano ad avvicinarsi ancora, ma ogni volta che provano a toccarmi, le condizioni delle loro mani si aggravano.

"Io n-non.." Mormoro, ma la mia voce è interrotta dalle grida della sorvegliante che osserva la scena orripilata.

"MOSTRO." Mi urla addosso, ma non si avvicina.

Io sono confusa e inizio a tremare.

"CAROL, CAROL. CHIAMALI. PRESTO. DEVONO PORTARSELA VIA." Impartisce gli ordini alla tutrice, che si appresta a scomparire dalla scena, con al seguito le due sorelle.

"Chiamare chi? Dove mi mandate?" Il panico si impossessa di me all'idea di finire in un posto peggiore di questo. Così inizio a supplicare.

"Per favore mi dispiace, non accadrà più." Faccio per avvicinarmi.

"FERMA. NON TI MUOVERE MOSTRO."

Sento un fischio alle orecchie e la testa vorticare, fino a non vedere più nulla.

Con un tonfo, cado sul freddo pavimento.

Poi buio.

DIAMANTE ROSSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora