Capitolo 7

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"Se non si sveglia?"

"Calmati Diana, andrà tutto bene."

"È tutta colpa mia, se solo non avessi reagito in quel modo..."

"Di..."

Delle voci preoccupate si sollevano nella stanza, ridestandomi. 

Metto a fuoco l'infermeria e le figure diventano sempre più familiari, fino a quando non riconosco i miei compagni di casa.

"S-sto bene." Mormoro a fatica, richiamando la loro attenzione. 

"ELIZABETH!"

"LIZ!"

Diana e Vittoria mi travolgono ed intanto Robert e Patrick chiamano l'infermiera. 

"Su su signorine, spostatevi." La signorina Pouttel mi visita, passando su tutto il mio corpo una pietra di Diaspro chiamata anche la "pietra del terapeuta".

"Signorina Longwood le consiglio di imparare a gestire le sue emozioni, se continueranno a sopraffarla potrebbe finire davvero male

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"Signorina Longwood le consiglio di imparare a gestire le sue emozioni, se continueranno a sopraffarla potrebbe finire davvero male. Se i suoi amici non l'avessero trovata in tempo temo adesso non saremmo qui a parlarne." Guardo gli occhi lucidi di Diana. 

La signora Pouttel mi porge un unguento al Cristallo di Rocca da applicare sulle ferite. Soffermando il suo sguardo su di esse aggiunge "Sa, a volte condividere il dolore può renderlo più sopportabile. Lei è fortunata signorina Elizabeth, non capita sempre di trovare persone come i tuoi amici. Si fidi di loro." Mi da una carezza, uscendo dalla stanza. 

Rimango sola con loro e le parole di quella donna non mi hanno lasciato indifferente.

"Scusate." Mormoro a capo chino. I miei traumi appartengono al passato e se continuo a riportare il passato nel presente, non riuscirò mai ad andare avanti.

So che Diana e Vittoria erano sinceramente preoccupate ed io ho subito respinto la loro gentilezza. Non ho mai avuto nessuno che pensasse al mio star male, almeno era così fino a prima di conoscere loro.

"Scusaci tu, abbiamo esagerato." Scuoto la testa, sorridendogli. 

"Elizabeth volevamo solo dirti che non sei sola. Qualsiasi cosa succeda noi saremo qui." Mi da una pacca sulla spalla Robert. 

"Esatto. E poi mica alleniamo questi muscoli per niente." Aggiunge Patrick, mettendo in mostra il suo bicipite. "Non avere paura. Mai."

Ingoio il groppo in gola per le emozioni delle loro parole. Ho già pianto abbastanza.

Mi tiro su, sorretta da Vittoria e Diana e insieme ci dirigiamo verso le nostre stanze.  

Una volta messa sotto le coperte, Diana mi si avvicina, sedendovisi al di sopra. 

"Credo di doverti delle spiegazioni."

"Non preoc.." Mi blocca, scuotendo il capo. "Devo e voglio farlo."

"Sei sicura Dia?" Le chiede Vittoria, apprensiva. 

Diana getta i suoi occhi nei miei, lasciando uscire dalla sua bocca un racconto che mai mi sarei immaginata.

"Il mio cognome in realtà è Rotterbald, stessa cosa per Robert." Inizia col dire, prendendo un grosso respiro. "Siamo nati a Grimland, un piccolo paesino di agricoltori. Vivevamo in una famiglia numerosa ed eravamo il quarto e la quinta figlia di 6 fratelli. Eppure i miei genitori facevano di tutto per non farci mancare il piatto sulla tavola." Vittoria si avvicina, porgendole dell'acqua dopo aver udito la sua voce tremolante.

Io mi ero sollevata con il busto, assumendo la migliore posizione per ascoltarla. 

"Erano passati già tre anni dalla fine della Grande Guerra, quindi il nostro intero mondo era in fase di ripresa. Del maligno non vi era traccia, ma quei bastardi dei suoi seguaci ogni tanto tornavano attaccando qualche villaggio." Stringe i pugni dalla rabbia. 

"Il giorno del Solstizio di Inverno nel mio paese c'è una gran festa. Ci raduniamo davanti l'albero di Genesa chiedendo alla dea dell'agricoltura un fertile terreno e un grande raccolto. Le vie sono adibite a festa, la gente prepara una moltitudine di piatti con i prodotti della nostra terra, esibendoli in delle bancarelle. La gente veniva da ogni dove pur di godere dello spettacolo di luci e cibo. Finché quell'anno, in quel dannato giorno, quei bastardi arrivarono." Le prendo la mano, sentendo il suo dolore al solo ricordo.

"Distrussero tutto, TUTTO. Rapirono e uccisero la maggior parte di noi. Inclusa la mia famiglia. 

I miei genitori ci dissero di nasconderci, ma non servì a molto. Fu questione di un attimo e le urla assordanti divennero silenzio. Avevano ucciso tutta la nostra famiglia. I nostri genitori morirono davanti ai noi occhi, i nostri fratelli squartati senza ritegno. Io e Robert fummo risparmiati. Perché? Non lo so, ma quello che ci accadde in seguito ci fece desiderare di morire molte volte." Vittoria le asciugava le lacrime, abbracciandola. Io mi preparavo al peggio. 

"Ci portarono con loro, ad una delle loro basi. Ci spogliarono, dandoci da indossare un sacco a testa che una volta conteneva delle patate. Non avevamo scarpe, non avevamo neanche le mutande. Ci avevano privato di ogni dignità. Dormivamo in uno scantinato e senza un letto su cui riposare. Il nostro cibo? Avanzi quando ci andava bene. Eravamo diventati i loro giocattoli. Ci usavano per far esercitare i loro figli su di noi. Se i figli sbagliavano, noi ne pagavamo le conseguenze." Diana si alza, facendo cadere la veste bianca sui fianchi, lasciando in bella vista le cicatrici che macchiavano quella pelle candida. 

Porto una mano alla bocca, trattenendo un conato di vomito all'idea di tutto il male.
Perché potevo sentire il dolore di quelle cicatrici su di me. Perché io lo conoscevo. E solo chi ha una grande forza può sopravvivere a questo.

"E questo non è niente." Aggiunge amara. "Dovreste vedere Robert. Per lui fu ancora più difficile perché cercava di proteggermi e finiva col prenderle al posto mio. Tante volte svenivamo o per fame o per dolore. Eppure lui mi diceva che un giorno saremmo stati felici ed io gli ho creduto."

Tira su col naso, sorridendo d'amore al ricordo del fratello.

"E così fu. Una notte sentimmo dei rumori al piano di sopra. Noi ci nascondemmo. I rumori aumentarono, volavano incantesimi, le pareti tremavano e vetri si infrangevano. Eravamo terrorizzati. Poi la porta dello scantinato si aprì e da una luce accecante nel buio di quelle mura, spuntò il signor Denson. Si avvicinò piano, dicendo di non volerci far del male, che ci avrebbe salvato. Noi non avevamo più nulla da perdere. Tutto sarebbe stato meglio di quell'inferno, perciò lo seguimmo. E finalmente fummo salvi."
Si asciuga l'ultima lacrima rimastagli sul viso.
"Ecco perché odio quel tipo di violenza, soprattutto se fatta a qualcuno a cui tengo."
Quelle parole, dopo il gelo di quel racconto, mi scaldarono il cuore.
In un abbraccio impacciato, cullo questa ragazza, sperando di trasmetterle un po' di conforto.
Vittoria si unisce a noi.
E quella sera ci addormentammo così, tutte e tre nel mio letto, sancendo quasi un legame invisibile ad occhi esterni, ma caldo dentro di noi.

DIAMANTE ROSSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora