Prologue

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My demons are begging me to open up my mouth


- Non vali niente e mai lo farai! -

Ad accompagnare quelle parole inondate di disgusto ci fu il primo pugno sullo zigomo.
Il primo della giornata.

Strinse i denti e tirò le labbra in una smorfia mentre inclinava il volto verso destra. Lo scricchiolio delle nocche che cozzavano contro il viso aveva un ché di sinistro, seppur macabramente familiare. Il dolore seguì a ruota il suono e arrivò di prepotenza con il respiro successivo, sconquassandogli i muscoli e facendolo traballare sul posto.

Ma non si mosse dalla propria posizione.

Nel giro di un ulteriore schiocco di dita, la pelle era già diventata livida: quel rossastro sporco e disuniforme che tentava di coprire le macchie giallognole risalenti all'ultima e recente sfuriata riusciva ad infossare ancora di più i suoi occhi stanchi.

Stanchi.
Grigi.
Vacui.
Come la stupida e insulsa esistenza che era condannato a portare avanti.

Per quanto odiasse lui, quella situazione di merda e, non per ultimo, se stesso, si assicurò di ignorare il formicolio insistente che gli faceva prudere le mani. Sapeva di non dover reagire, perché l'accondiscendenza e il silenzio erano l'unico modo di irretirlo, di farlo stancare in tempi brevi e di privarlo di quell'unica soddisfazione che gonfiava il suo ego di piccolo uomo frustrato.

- Sei solo un buono a nulla! - e così arrivò anche il secondo, prevedibile gancio. - Un parassita. -

Il semplice fatto che conoscesse un termine per lui così ameno come "parassita" lo stupì. Immaginò che lo avesse appreso guardando uno dei suoi tanto amati programmi televisivi per cerebrolesi dalle facili risate come lui. Quando quello stronzo non aveva tanta voglia di sfogarsi sul suo pungiball umano prediletto, rimaneva per ore incollato allo schermo luminoso, a sghignazzare senza pudore alle battute squallide di presentatori dal QI discutibile e a guaire come un cane in calore di fronte alle soubrette ben poco vestite delle sue adorate trasmissioni.

Quanto lo detestava.

- Non fai altro che bere, e sono io il buono a nulla... -

Le dita strette a pugno riusciva a controllarle piuttosto bene.
La lingua, poco incline a rimanersene arrotolata, era decisamente un altro paio di maniche.

L'espressione dell'uomo si incupì e il ghignò si tramutò in una grottesca maschera di sdegno. Con una bracciata lo afferrò per il colletto della vecchia t-shirt e lo strattonò verso di sé per chiudere la distanza. - Che cos'hai detto? - sibilò in un alito dolciastro di whisky misto a tabacco.

- Niente... - mentì, la lingua premuta contro i denti per tentare di non aggiungere altro e lo stomaco sottosopra per via di quel fetore. - ...Se non la verità. -

E lo sdegno si elevò a rabbia.

A quel punto, Dorian evitò coscienziosamente di flettere il braccio per difendersi, così quel nuovo diretto gli centrò perfettamente il naso.





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Ma bentrovati, fiorellini! ~

Eccomi con una Mini Long che mi è entrata nella testa come un ariete da battaglia, circa un mesetto fa, e che da allora non se n'è più andata.

Cosa ne pensate del prologo? Non sono solita scriverne, ma devo ammettere che questo è venuto fuori quasi da solo.

Aspettative? Ansie? Angosce?

Fatemi sapere tutto quello che vi va, come sempre commenti, feedback e stelline sono cosa gradita!


Piccola curiosità: il titolo della storia è tratto dalla canzone "Hold Me Down" di Halsey.


~Juliet

Hold Me DownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora