Chapter 3

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My neck is open wide


Il dolore al fianco era sopportabile.
Quasi.
Ciò che era mille volte più difficile da sostenere, al contrario, si condensava in un paio di occhi dorati così ricchi di apprensione e sgomento da farli apparire simili a quelli di un animale impaurito.

Dorian vide quella ragazza, la stessa che Sokolov aveva intrattenuto dopo la lezione di fisica, scartabellare nervosamente all'interno del suo zaino, alla feroce ricerca di qualcosa. Continuava a rimpallare lo sguardo dal contenuto a lui, rimanendo acquattata a terra sulla punta dei piedi a nemmeno un metro di distanza, con la treccia che ondeggiava a un pelo dalla polvere e dallo sporco. La osservò spalancare le palpebre e distendere appena appena le labbra in un sorriso accennato ma soddisfatto, poi allungò un braccio nella sua direzione per offrirgli un fazzoletto di stoffa.

- Posso aiutarti. -

Quella non era una domanda, seppur la cadenza e l'accento così diversi da quelli che era abituato a sentire avrebbero potuto anche suggerire il contrario. Fissò quella piccola pezza rosa trattenuta da una mano fine ed elegante e, senza nemmeno accorgersene, si ritrovò a spostare lo sguardo sulle proprie nocche ancora livide.

- Non mi serve il tuo aiuto. -

Lei sfarfallò le ciglia e inclinò la testa di lato, assumendo un'espressione contrita e allo stesso tempo sorpresa. Dorian la trovò tremendamente irritante, specie quando non si tirò indietro da quel gesto altruista.

- Ho detto che non mi serve. - marcò la negazione con un astio esagerato e puntò un ginocchio a terra, ignorando del tutto quelle labbra piene che ora erano piegate in una smorfia di disappunto. Fece per alzarsi, quando una fitta acuta all'altezza del fianco lo costrinse a lamentarsi ad alta voce e ad appoggiare una mano sulla parte lesa. - Vasilyev di merda... - sibilò rabbioso guardando verso il basso, accorgendosi che palmo e polpastrelli erano ormai ricoperti di sangue.

- Devi andare in ospedale. -

Dorian la fulminò e fece schioccare la lingua. - Fatti gli affari tuoi. - stese le ginocchia e si mise in piedi, infilzando i denti nel labbro inferiore così in profondità da peggiorare la spaccatura che il biondo gli aveva provocato con lo schiaffo di poco prima. - È solo un graffio, quell'idiota mi ha preso di striscio. -

Era così infastidito.
Primo fra tutti, da Vasilyev, che era davvero riuscito a ferirlo nonostante non avesse la benché minima idea sul come si maneggiasse un coltello. E subito dopo, da lei, portatrice di una pietà di cui avrebbe volentieri fatto a meno, che continuava a fissarlo con quegli occhi da tenero cucciolo di cerbiatto.

- Posso accompagnarti io. - ci riprovò la ragazza.

- Ti sembro un moccioso che necessita di una babysitter? -

- Mi sembri uno che non fa mai la cosa giusta per sé. -

Dorian sentì un nuovo nugolo di fastidio appesantirgli il petto.

"Ma tu che cazzo ne sai?", si ritrovò a chiedersi, scocciato e ad un passo scarso dall'ira.

Solo un istante più tardi si accorse di aver dato fiato ai propri pensieri.
Poco male.

Scrollò le spalle e le propinò una nuova occhiataccia, poi tornò a comprimere la mano sul fianco, facendo un passo in laterale per scansarla e uscire da quel vicolo il prima possibile. Le scivolò vicino senza degnarla di uno sguardo, esattamente come lei aveva fatto in aula qualche tempo prima. Un passo e si sentì afferrare per la giacca, all'altezza del gomito, in una presa debole ma ostinata: fece quindi scattare il braccio in avanti, in un riflesso furente e automatico.

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