7.

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"10 ottobre 1952.

Oggi ho rivisto quella ragazza dopo due giorni della sua assenza in sala comune.

Aveva l'aria stanca e si era trascinata a forza nella stanza.

Le hanno fatto qualcosa, di già?

L'ho scrutata attentamente tutto il tempo, e ogni tanto mi ha rivolto qualche sguardo.

Se ne sta completamente sola, e a volte vorrei avvicinarmi, ma non ne ho il coraggio.

Mi incuriosisce davvero, vorrei parlarle.

Forse un giorno.

-Michael."

 

Mi affretto a chiudere il diario e ad infilarlo sotto il materasso quando sento la porta aprirsi.

Ecco la cena.

Mi avvicino alla porta e raccolgo da terra una misera ciotola con un pezzo di pane e la solita strana poltiglia. Poi afferro con la mano destra il bicchiere d'acqua.

Mi trascino sul letto e comincio a mangiare, anche se non ho fame. So che poi dovrò aspettare fino all'una di domani per poter toccare altro cibo.

La poca luce che viene dai lampadari del corridoio entra dalla piccola finestrella della porta e illumina solo una piccola parte della stanza, quella dove di solito mi metto per scrivere.

Dopo aver messo nello stomaco quel poco cibo che tutti ci dobbiamo far bastare per tante ore, mi risiedo in quell'angolo di stanza illuminato, e mi rimetto a leggere le ultime pagine di diario che ho scritto fino ad ora, per ammazzare il tempo.

 

 

 

Sospiro sentendo in corpo quel senso di stanchezza che non è il bisogno di dormire.

Vorrei poter uscire da qui, e se mesi fa avrei voluto morire, adesso vorrei poter vivere.

E' notte fonda ormai, le luci sono state spente da un bel pezzo, e non c'è nessun rumore.

Improvvisamente mi viene da pisciare.

Mi alzo lentamente da terra e mi avvicino alla porta verdognola della cella. Mi affaccio alla piccola finestrella della porta, afferro le sbarre che la costituiscono e porto la testa fra due di esse, cercando di poter vedere qualcosa nel corridoio, a stento illuminato dalla fioca luce della luna che entra dalla finestra posta in fondo.

C'è una sola guardia che sorveglia questo piano, e va ripetutamente avanti e indietro.

Sento i suoi passi riecheggiare per il corridoio freddo e silenzioso.

Quando la guardia è abbastanza vicina gli bisbiglio un 'Pss' e lei mi raggiunge.

"Frank." Lo chiamo per nome, la mia voce esce in un sussurro.

E' l'unica persona della quale mi possa fidare qua dentro.

Quando è di fronte alla mia cella, dico "Devo andare in bagno, è urgente."  e nel frattempo mi tengo il cavallo della tuta, perchè è davvero urgente.

Lo vedo abbassare lo sguardo e sento il rumore delle chiavi che estrae dalla tasca. Così apre la porta della cella e mi fa uscire.

"Non posso lasciare il corridoio incustodito, ti posso mandare da solo in bagno?" Mi dice e mi guarda negli occhi.

Hospital For Souls || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora