Mi trascino per la casa. Nel silenzio, il rumore del mio stomaco sembra il ruggito di un qualche animale intrappolato. Bevo con avidità qualche goccia d'acqua gialla che scende dal rubinetto.
Quando penso al tempo, mi sento confuso. Non ne conosco le regole, ma il mio cervello sa lo stesso che scorre. Lui non ha mai voluto insegnarmi il funzionamento dello strumento che porta al polso. Sono salito in camera e gliel'ho tolto. Non gli servirà più. Mi sta largo sul braccio sottile, ma da un senso di sicurezza. Finché c'era Lui, sapevo qual era il mio compito, avevo da mangiare e da bere.
Ora invece la paura è diventata una compagna pallida che mi segue attraverso i corridoi, nelle stanze vuote e polverose, mi siede accanto mentre gratto sui muri. Da un po' mi sento confuso, non riesco a pensare come prima e mi perdo nel ricordo del mio primo giorno di lavoro alle soglie.
«Guarda al senso. Le sillabe si guarderanno da sé».
Erano state le uniche parole di Lui quel primo giorno, poi mi aveva indicato la carta da parati sul muro e avevo capito. Facevo fatica a staccarla, come se il muro l'avesse assorbita. All'inizio il rumore delle mie unghie contro la parete mi aveva infastidito, ma dopo poco era diventato parte di un routine che mi rendeva calmo. Quasi assente.
Il primo segno era stato U e l'avevo fissato affascinato per tanto tempo. Lui aveva detto che si ripetevano e che dovevo proseguire. Avevo scoperto T. Poi era stata la volta di O, A e infine I. Lui non mi ha mai spiegato il significato di quegli strani simboli ripetuti sulle pareti. Sempre gli stessi, a volte piccoli, a volte grandi. Avevo continuato a lavorare con fiducia. Le unghie si erano consumate e avevano iniziato a sanguinare. Lui gli aveva detto che le soglie andavano aperte con le dita nude. Non potevano essere fasciate.
E così ero andato avanti con ancor maggiore fiducia.
La prima soglia si era aperta su un cielo stellato. Lui aveva staccato le assi che la fermavano e mi aveva tirato indietro. I suoi occhi lucidi e spalancati mi avevano provocato una sensazione di panico, ma era passata subito.
«Non devi mai avvicinarti alle soglie. Le apro io e le richiudo io. Soprattutto non devi mai varcarle. Non torneresti più indietro».
Rimango immobile. Qualcuno sta bussando a una delle soglie.
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TORVID - A short story
ParanormalVincitore Contest di Natale 2022 Mi chiamo Torvid e vivo nella casa blu. Estraggo le sillabe dalle pareti: è il mio lavoro. Con quelle plasmo i significati e apro le soglie, ma non sono mai uscito. Lui dice che non tornerei indietro. E ha ragione.