Going Under

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Qualcuno bussa alla porta, riportandomi alla realtà, per quanto possa essere possibile. Niente sarà più come prima. La verità si è confusa tra le bugie, quindi non so più cosa sia reale e cosa no.
Mi alzo dalla sedia e vado ad aprire, schiudendo leggermente la porta, scoprendo a poco a poco il suo viso. Lui mi guarda per alcuni secondi in attesa.
Non saprò più cosa sia finzione, ma so perfettamente cosa ha fatto lui. Cosa mi ha fatto.
La mia mente mi suggerisce di chiudergli la porta in faccia subito, ma non le do ascolto. Potrebbe essere veramente pentito, stavolta. Potrebbe voler rimediare ai suoi errori.
Apro la porta, lasciandolo entrare. Lui osserva la stanza, facendo correre lo sguardo su ogni superficie. Dopo dei secondi di silenzio, posa di nuovo lo sguardo su di me e mi porge i fiori bianchi che tiene in mano. «Sono per te» dice, mettendoli in un vaso sopra al tavolo, dopo aver capito che io non ho intenzione di prenderli. Torna a guardarmi, ma non dice nulla, senza scorgere nulla nei miei occhi. «Bene,» comincia, voltandosi. «Ci vediamo».
Un impeto di rabbia mi sorprende. «Ci vediamo?» chiedo, iniziando ad arrabbiarmi.
Lui volge la testa nella mia direzione. «Tu non hai fatto nulla per me, non voglio farti perdere tempo».
«Ora ti dirò cosa ho fatto per te!» grido, inferocita, rovesciando il vaso di fiori in ceramica a terra. I cocci ricoprono il pavimento, come l'acqua che lo rende scivoloso. E suoi dannati fiori rinsecchiti cadono proprio ai suoi piedi.
Si volta ancora verso di me e, per la prima volta, sono sicura di avere la sua completa attenzione. Il suo sguardo si posa sui fiori bianchi.
«Ho versato cinquantamila lacrime» comincio, gridando, mentre una rabbia cieca si impossessa di me. Vorrei ucciderlo, non lo nego. «Urlando, ingannando e sanguinando per te». Delle lacrime disperate iniziano a scendere sulle mie guance. «Ho ucciso per te». Ma le lacrime si trasformano in sangue rosso, che cola lungo il mio viso, fino al mento, dopodiché macchia il vestito bianco che indosso. «Pensando che tu potessi salvarmi».
Penso al volto delle creature che girano là fuori. Che si nascondono sotto le vesti di normali umani. Che però non lo sono. E bramano il mio sangue.
Ricordo quando ho affondato un coltello nel collo di uno. Ero disperata e terrorizzata. L'ho fatto per proteggermi. Ma non mi toglierò mai il suo pensiero dalla mente.
«E ancora non mi hai sentito» sussurro, stringendo i pugni. La malattia. Solo lui può curarla.
«Mentre sprofondavo nell'oblio» continuo, muovendo alcuni passi verso di lui, calpestando i foiri che sono finiti a terra. I miei occhi perdono il loro colore. Sì, sto peggiorando.
«E quando finalmente pensavo di aver raggiunto il fondo,». Mi sporgo verso di lui, macchiandogli la camicia del mio sangue. «Sei ricomparso. Che strana coincidenza, non pensi?».
«Posso spiegarti, credimi» mormora, arretrando di un paio di passi, ma si ritrova con le spalle al muro.
«Ah sì?» chiedo, sarcastica. «Credevo che tu fossi la mia unica speranza, ma sembra che io debba solo morire di nuovo». Ritorno sui miei passi, raccogliendo i fiori sciupati dal pavimento. Delle piccole gocce di sangue scivolano sui petali, come una macabra rugiada.
«Sprofondare ancora, annegando in ciò che rimane dei pochi ricordi che mi suggerivano che eri una brava persona». Osservo i fiori con un lieve, triste sorriso. «Ma sto cadendo per sempre. Ogni volta che penso di essermi rialzata, qualcos'altro mi fa stramazzare a terra». I miei occhi senza iride incontrano i suoi. Sembra che i pensieri nella mia testa non siano più confusi. Ora so cosa voglio.
«E non voglio la tua sporca mano, per rialzarmi, mi salverò». Gli porgo i fiori. «Ho capito. Devo sfondarlo, il fondo. Ma sono così lontana...». Il mio sguardo si perde. «Devo respirare, ma qui non c'è aria.». La realtà e le bugie sono la stessa cosa, non posso più fidarmi di me stessa.
«Te l'ho detto, sto morendo di nuovo, sprofondando, annegando in te, sto cadendo per sempre... Quindi vai avanti e urla, urla contro di me!». Non posso più fidarmi di me stessa, non so più cosa sia reale e cosa no.
Lo raggiungo, afferrandogli la camicia. La mia mente è piena di grida. Grida che voglio far uscire. «Non sarò spezzata ancora!» gli urlo in faccia, mentre lui mi prende per le spalle.
«Ascoltami, sei sotto l'effetto della malattia...» tenta di dire, ma io lo interrompo.
«E non voglio il tuo aiuto, mi salverò» ripeto, pulendomi il sangue dalla faccia, insanguinandomi le dita. «Forse per una volta mi sveglierò non quotidianamente tormentata e sconfitta da te».
«Ti prego, smettila» mi dice, cercando di rimanere calmo. «Non posso darti quello che ti ho promesso, non posso averlo. È troppo».
«Traditore» mormoro.
«No, non è questo» continua, ma non capisco le sue parole. È come se non conoscessi più la mia lingua. «Non posso ottenerlo in nessun modo, capisci? Io vorrei aiutarti, ma non posso».
«Vattene» gli intimo, sussurrando.
«Ti prego, stammi a sentire...».
«Vattene!».
Lui mi lascia andare e afferra i fiori. «Sappi che stai commettendo un grosso sbaglio» mi avvisa, prima di uscire e chiudere la porta alle sue spalle.
Non mi fido di lui. Non mi fido di nessuno. Non mi fido di me stessa.

Drowned In EmotionsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora