1. Una giornata particolare

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Fissò con aria dubbiosa il cartello davanti ai suoi occhi, scorrendo le parole impresse a caratteri cubitali più volte. Si munì del fedele dizionario online per esser sicura di aver afferrato ogni parola, si trattava pur sempre di una lingua straniera, dopodiché sospirò con rammarico.

D'accordo, Angelica, niente panico. Nervi saldi e sangue freddo.

Si disciplinò mentalmente, dopotutto si trovava in una piazza pubblica e non le sembrava il caso di dare un ignobile spettacolo di sé.

In un angolo di Dam Square, non troppo distante dalle più fitte folle di turisti, sorgeva una biblioteca che da due mesi a quella parte era stata tutto il suo mondo: Angelica sapeva di doversi svegliare ogni mattina alle sette, di dover pedalare all'interno del vastissimo Vondelpark, probabilmente l'unico luogo nel quale non rischiava di essere investita dall'ennesima bici che correva all'impazzata e di dover essere operativa alle nove in punto.

Guai a tardare sulla tabella di marcia con gli olandesi oppure la signorina De Graaf, la bibliotecaria che vantava trent'anni di onorata carriera nella stessa biblioteca, l'avrebbe costretta a trascrivere online le dediche presenti ai margini dei libri non ancora catalogati.

Agli occhi dei più sarebbe potuta sembrare una misera lezione, ma in realtà si trattava di un vero e proprio flagello divino, in quanto i libri non catalogati presentavano un problema fondamentale: le dediche erano spesso a matita, vergate da calligrafie nove volte su dieci illeggibili, in lingue perlopiù sconosciute.

La signorina De Graaf, altresì denominata signorina Rottermeier, o affettuosamente la Rottermeier, assieme a Flavia, l'altra tirocinante italiana con la quale scambiava quattro chiacchiere tra un'incombenza e l'altra, era nota per il suo serissimo aspetto esterno, nonché un carattere che le aveva conferito il celebre appellativo.

Odiava i ritardi, le persone che sorridevano troppo, chiunque non avesse letto Dostoevskij almeno una volta nella vita e l'intera gamma delle emozioni umane. A volte Angelica si teneva volutamente a distanza, evitando di incrociare la signorina De Graaf laddove possibile, convinta che tutta la sua misantropia nei confronti del genere umano sarebbe potuta sfociare in un omicidio, proprio come nei suoi amati romanzi russi.

Come in un terribile incubo, con l'aggravante che si era materializzato in carne e ossa, Angelica si ritrovò la signorina De Graaf a qualche spanna di distanza: non l'aveva mai vista così scomposta e scioccata, la sua espressione denotava lo sgomento di chi doveva aver appena visto la fine della propria vita.

«Signorina Forti. Stavo per chiamarla. La biblioteca è... chiusa» sospirò infine, come se quella parola le fosse costata un grandissimo sforzo.

Di tutta risposta Angelica impallidì, aveva sperato sino all'ultimo di essere in errore.

«Ma com'è possibile? Cos'è successo?»

«Apparentemente c'è stato un furto. Sono stati sottratti ben sedici libri. Nessuno se n'era accorto prima perché sono incunaboli e lei sa bene...» si fermò, studiando la sua espressione. «Probabilmente lei non lo sa, per cui lasci che glielo spieghi: gli incunaboli sono tutte quelle opere stampate a caratteri mobili dal 1455 al 1500. Sono i progenitori dei nostri libri moderni.»

C'era qualcosa nello sguardo della signorina De Graaf che gridava orgoglio e dedizione, le si accendeva una luce negli occhi quando poteva elargire quel tipo di spiegazioni.

«Oh, interessante» si limitò a dire Angelica, con timore quasi reverenziale.

«Ma sa qual è la cosa più sconvolgente?»

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