CAPITOLO DECIMO SETTIMO

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Il Gjallarhorn suonò per la terza volta, e al grido di Udundril i Giganti lanciarono i massi, mentre stormi di frecce nere venivano scoccate dagli archi nascosti dietro le bianche mura dell'Asgard.

«Bentornato, Deremus» lo salutò uno spirito e Deremus ricambiò: da tempo ormai non vedeva quei visi amici che tempo addietro si erano salvati dal rapimento della Forza.

Il primo attacco di frecce nemiche non ebbe effetto sulle fila del Valhalla e, mentre i Giganti lanciarono degli altri massi, gli arcieri tesero di nuovo i loro archi.

Langeskygger grattava il terreno mentre attendeva fermo che l'esercito degli Animi Scuri, com'egli decise di chiamare, raggiungesse le prime fila dell'esercito ruggente del Valhalla.

Lo scontro fu brutale e mentre molti guerrieri del Valhalla calavano pesantemente le loro armi, le anime corrose dominate dalla Forza svanivano in nuvole di fumo nero.

Gli scudi si frantumavano e le schegge ferirono molti colli. Erik gridò mentre dava colpi ai fianchi di Langeskygger che nitrendo partì al galoppo lasciando profondi solchi nell'erba già bagnata dal nero sangue nemico.

Ademir vibrò mentre staccava colli fumosi da corpi neri come carbone svanendo poi come cenere al vento.

Langeskygger pareva non pensare a niente mentre puntava dritto contro quegli esseri calciandoli e calpestandoli come un toro imbizzarrito. Erik notò il Kovaa di Dag che marciava con la pesante armatura macchiata di schizzi rossi. Dag gridava a bordo dell'animale agitando lo scudo e chiamando a sé i nemici fidandoli ad abbatterlo. Rohkeus balzò in avanti staccandosi dal resto dell'esercito assaltando da solo il nemico avanzante. Il lupo azzannò con ferocia un paio di spiriti salvando la vita a un guerriero dorato che cadendo a terra aveva perso la spada. Non molto distante da lui, alla sinistra di Erik, anche i Safiri non se la cavavano male: uniti schiena contro schiena si aiutavano a vicenda brandendo le grandi asce e le corte spade con maestria. Volgendo lo sguardo a destra, invece, Erik notò i Kei che avevano riposto l'arco in spalla poiché avevano finito le frecce e avevano estratto le loro particolari spade fini che libravano in aria con la loro abile maestria.

I neri spiriti della forza, però, al contrario di come chiunque fino ad allora aveva creduto, parevano non contrattaccare, anzi: correvano scavalcando e investendo molti guerrieri del Valhalla come un branco di bestie alla carica senza preoccuparsi dei compagni cadenti, come se l'unico comando a cui rispondevano fosse quello di andare avanti. Molti guerrieri dorati si fermarono guardandosi in volto l'un l'altro senza capire perché l'esercito nemico non attaccasse, difendendosi soltanto con i loro lugubri scudi colanti sangue nero.

In poco tempo tutto l'esercito del Valhalla fu immerso nel nero esercito nemico come se fosse nel bel mezzo di un fiume in piena durante una tempesta: nessuno dei dorati soldati era morto durante lo scontro e coloro che erano caduti da cavallo perché investiti e sommersi dai neri spiriti avanzanti si alzarono massaggiandosi spalle e braccia e zoppicando un poco per recuperare la spada, l'ascia o qualche freccia conficcata nel terreno.

Erik si voltò e, con sua grande paura, vide il Nero esercito sormontarsi e formare sempre più rapidamente una grande montagna di corpi ammassati neri e fumanti.

Egli s'immobilizzò dal terrore di fronte allo spaventoso spettacolo. Per un momento non capì cosa essi stessero facendo, poi comprese e il suo cuore si fermò per un attimo, rischiando di farlo svenire. Nessuno aveva ancora capito, così egli gridò:

«Stanno raggiungendo l'Asgard!»

Dall'alto piovevano le frecce degli Elfi e degli altri guerrieri che non erano scesi sul campo di battaglia. Ma la nera montagna continuava a crescere e a crescere mentre ai suoi piedi nuovi spiriti neri si aggiungevano.

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