CAPITOLO DECIMO TERZO

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Un raggio di sole penetrò dalla grande finestra della stanza inondandola di luce dorata.

«Buon giorno, amici miei» disse Koronder mentre si sedeva sul bordo del letto «Mi auguro che i vostri sogni siano stati lieti e rilassanti come i letti in cui abbiamo dormito. D'altro canto abbiamo dormito molte ore, poiché abbiamo passato il pomeriggio, la sera e l'intera notte in questi letti» Koronder diede uno sguardo ai Safiri «Evidentemente questo luogo è talmente magico che perfino coloro che ne hanno a che fare da quando sono nati non Riescono a resistergli».

Si vestirono rapidamente e in men che non si dica erano già bell'e pronti per gli allenamenti. Si diressero nel grande salone centrale dove gli abitanti del Valhalla stavano mangiando.

«Ecco giunti gli Uomini Viventi!» gridò Irikus e dai tavoli si levarono applausi e saluti.

«Oggi vi aspettano molte sorprese e un duro allenamento. Ma prima, una buona colazione!» disse Sirwen, e li invitò a sedersi tra loro.

Di lì a poco anche i Possessori delle altre razze entrarono nel grande salone e ricevettero del latte e del pane. Ai giganti necessitò una grande quantità di cibo per placare la loro fame ma gli abitanti del Valhalla erano ben felici di accontentarli.

Le valchirie arrivarono pochi minuti dopo ed invitarono tutti i presenti ad armarsi e raggiungere i giardini ove si sarebbero svolti gli allenamenti.

«Ogni giorno da quando siamo qui ci rechiamo ai giardini dell'Asgard ed organizziamo tornei e combattimenti in vista della Grande Battaglia, quando i Mondi cadranno e sarà la fine per tutto ciò che conosciamo. Ciò che rende unico questo luogo è la possibilità di attaccare l'avversario con la stessa energia che si usa in battaglia. Se qualcuno di noi viene ferito, ucciso o mutilato, a fine giornata viene portato fuori dal campo e medicato. In altre parole, nel Valhalla non si può morire, poiché chi lo abita è già morto»

«Noi però non siamo morti» precisò Erik mentre gli ultimi spiriti dei guerrieri defunti lasciavano la sala.

«Purtroppo, o per fortuna, questo è vero» disse Udindril alle loro spalle, «Perciò con voi verranno utilizzate armi non affilate, poiché questo luogo i morti li accoglie ma non li crea. Bene seguitemi, da questa parte»

Egli accompagnò i Possessori ai giardini, ove molti guerrieri stavano già combattendo.

«Le armature che indossate sono leggere ma deboli. Fino al giorno della Battaglia, però, continuerete ad usarle. Dopodiché ognuno di voi verrà fornito di un'armatura nuova. Dovrete però utilizzare le armi dei Possessori, cioè quelle già in vostro possesso».

Erik si fece avanti e mostrò la propria spada:

«Purtroppo anni or sono il padre di mio nonno Oflag vendette la spada da Possessore da lui ereditata per guadagnarne denaro. Con parte dei soldi ne comprò una di manifattura minore. Io questa spada la impugno dal giorno in cui sono nato e mi dispiacerebbe separarmene. L'ho battezzata Midrim, ovvero "Spada del Midgard".

«E con ciò, mastro Erik, cosa intendete domandare?» chiede Udundril curioso.

«Per tradizione i Possessori devono possedere una spada proveniente dall'Asgard. Questa lo ha visto per la prima volta ieri pomeriggio, non è conforme la tradizione. Chiedo che questa spada sia adattata a favore di ciò che hanno dettato i Grandi Saggi del passato, cosi che se io debba morire durante lo scontro, lo possa fare impugnando Midrim».

«Il tuo desiderio verrà ascoltato e i fabbri di questo luogo sublime faranno il possibile per accontentarvi, mastro Erik» rispose Udindril sorridente.

«Anche io avrei una cosa da domandare, sire» disse Dag.

«Allora domandate, se è ciò che volete» concesse Udundril.

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