Nɪɴᴇ

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Nora

I grandi dolori non vogliono né consolazioni né testimoni.
Alexandre Dumas, Robin Hood

Aprii la porta di quella casa troppo vuota, osservai il buio circostante, mi soffermai sulle foto che avevo accuratamente risistemato e appeso al muro.

Chiusi la porta con un calcio, continuando a seguire quella scia di ricordi imprigionati in uno scatto; mi persi negli occhi innamorati del signor Joseph, nel sorriso spensierato della signora Josslyn, mi persi tra i luoghi che li avevano visti formarsi solo per scomparire del vortice in cui ero caduta.

Facevo fatica a respirare, le mani tremavano a intermittenza e la rabbia mi stuzzicava sotto pelle, mi tentava, sfidava il mio senso di autocontrollo portandomi all'auto distruzione.

Arrivai in cucina, senza premurarmi di accendere alcuna fonte di luce, volevo rimanere al buio e nascondermi, confondermi, diventare un'ombra, la stessa che sono stata per tutti gli anni precedenti.

Alcune volte sembrava che volessi mangiarmi il mondo, altre invece, diventavo un'essere talmente insignificante tanto da diventare io stessa la preda.

Sentii la pesantezza di tenere sempre le spalle dritte, forti, come se niente mi scalfisse, quando le afflosciai appoggiandomi alla bancone del cucina, prima che le ginocchia cedessero e lentamente mi sedessi a terra.

Aprii il frigo, vedendo gli scaffali vuoti, in mancanza di qualsiasi cosa servisse per nutrirsi, e afferrai la bottiglia di vodka nonostante fossi a stomaco vuoto.

Aprii lentamente il tappo e portai la bottiglia alle labbra bevendone un grande sorso susseguito da un conato di vomito.

Scoppiai a ridere ritenendomi ridicola, ma talmente divertita dallo scenario se mi osservassi da fuori, da sembrare matta seduta per terra al buio, con una bottiglia di vodka stretta in una mano.

Continuai a ridere finché il primo singhiozzo non mi abbandono le labbra, finché non sentii le lacrime bagnarmi le guance e riunirsi sulle mie labbra, mischiandosi all'alcol che sembrava un appiglio anche se in realtà mi tirava ancora di più nel mio tormento personale.

Afferrai la tasca gigante del giubbotto che indossavo, evitai il pacco di sigarette, i fiammiferi e le chiavi, prima di scontrarmi con ciò che stavo cercando.

Estrassi il telefono usa e getta, prima di fare un altro lungo sorso di vodka.

Misi a fuoco i tasti anche se a causa delle lacrime e dello stordimento mentale, vedevo tutto in maniera offuscata.

Iniziai a comporre il suo nuovo numero, anche se lo avevo avuto solo pochi giorni fa lo conoscevo a memoria.

Dopo essermi assicurata di averlo composto correttamente, premetti il tasto verde e me lo portai all'orecchio nell'attesa che squillasse.

Avevo il cuore in gola, faticavo a respirare e le lacrime sembravano non smettere più dì scendere; erano anni che ripromettevo a me stessa di non piangermi più addosso, poi mi bastava ricordarla per fallire nel mio intento.

«Pronto?» rispose una voce incerta dall'altro lato, e sentii mancarmi il fiato.

Posai il capo contro il ripiano, chiusi gli occhi e cercai di ingoiare il nodo che mi serrava la gola e faceva male.

Nel cuore di un ladroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora