La pelle si lacerava ogni volta come una pergamena. Aveva perso il conto di quante ne aveva ricevute, aveva smesso di sentire anche le urla di Tahlia, non sentiva nemmeno più dolore. Si sentiva morto e basta.
Era successo tutto così velocemente: la guardia che lo faceva inginocchiare, gli legava le mani a un anello attaccato al muro, la principessa che urlava trattenuta dal padre e Cxan nell'angolo che sogghignava.
Raß tolse la frusta di cuoio dalla cintola, alzò il braccio curvando nell'aria il lungo arnese chiodato, causando uno schiocco che si sentì fino alle segrete del castello. Quando l'intreccio di fili di cuoio tagliò la sua pelle, tentò di urlare, la bocca cercó di aprirsi per lasciare uscire quell'urlo di dolore, ma il ricamo lo imprigionò in gola, facendolo tossire e aumentando così la sua sofferenza. Con la seconda frustata qualche filo tagliò le sue labbra come il flagello la sua pelle; l'agonia raddoppiò, come il sangue che ora colava dalla frusta, dalla schiena e dalla bocca.
Dopo la terza e la quarta non riusciva nemmeno più a tentare di urlare.
Cominciò a contarle sperando che tutto finisse presto. Ne mancavano solo novantasette.
Novantasei.
Novantacinque.
Novantaquattro.
Novantatré.
Novantadue.
Novantuno.
Novanta.
Dopo un' altra ventina Raß cambiò braccio ma il sinistro, più debole dell'altro, non incideva la punizione come avrebbe dovuto. Cxan lo notò subito, meschino e viscido rappresentava al meglio il simbolo della sua Tribù, lo Scorpione Nero.
– Capitano Raß, penso che per te possa bastare, sei stanco, passa la frusta a qualcun altro.–
La Sentinella chiamò un suo sottoposto che ricominciò il supplizio. Forte e doloroso proprio come voleva Cxan.
Arus non sapeva neanche più dove si trovasse, come si chiamasse e il perché di quella sofferenza.
Sarebbe morto lo sapeva. Nessuno avrebbe pianto per lui. Era solo una schiavo... Solo uno schiavo.
Non tentò più di restare cosciente. Chiuse gli occhi e si abbandonò all'oblio che lo stava per inglobare nella sua oscurità, appoggiando la testa alla colonna davanti a lui per le restanti sessantasei frustate. Chiuse gli occhi e per la prima volta dal rito del ricamo si sentì felice, gli apparve nella mente una luce candida e rassicurante avvolta da un buio corridoio. Una libertà totale dal corpo e dalle sofferenze che esso porta, senza vita ma senza catene. Libero di vagare per le Sperdute Lande, libero di gridare al cielo la rabbia repressa durante i suoi sedici anni di vita.Suo padre Reekan gli insegnò sin dalla tenera età a stare attento alle persone. Potevano essere utili all'inizio, usandole a proprio favore; ma quando diventavano inutili potevano trasformarsi in problemi, grossi problemi. Soprattutto quando li si rendeva colpevoli di un misfatto che non avrebbero voluto commettere. Se l'uomo delle segrete avesse avuto la benevola idea di starsene zitto questo non sarebbe capitato. Avrebbe dovuto ucciderlo prima, ma allora gli era scomodo ma ancora utile.
Cxan riempì la buca, nascondendo a suon di palate il cadavere del vecchio prigioniero e saltò a cavallo tornando verso il castello. L'uomo che sapeva la verità su cosa era successo quasi vent'anni prima al figlio del re ora dormiva per sempre sotto il cielo delle due Lune. Il Consigliere di Rubino aveva costretto un povero uomo, suo servo, a commettere un vile atto di tradimento nei confronti del re. Insinuò il dubbio nelle orecchie e nella mente dello schiavo fedele; liquido e mieloso il tradimento prendeva forma, mentre Cxan gli raccontava che il figlio di sua Maestà appena nato non era il frutto dell'amore del re e della regina, bensì di un tradimento, e il fantomatico amante della sovrana era proprio lui stesso. Aveva architettato la menzogna così bene da parer vera e il servo credette alla sua bugiarda voce. Cxan convinse l'uomo a prendere il neonato dalla sua reale culla ed esortò il vecchio affinché glielo portasse in modo che potesse allevarlo come suo figlio, quale era. Il servo non ci pensò due volte e accettò.
Il bambino dormiente nella sua prima notte di vita venne portato da Cxan, che sogghignando aveva raccontato la verità a quell'uomo.
Dopo anni il servo aveva riconosciuto quel bambino mentre girava per il castello e preso dal senso di colpa aveva tentato di riferire tutto al re. Ma non ci riuscì, venne gettato in prigione dai suoi informatori e lì rimase fino al giorno prima, l'ultimo giorno della sua vita.
Cxan si fermò poco fuori le mura del castello, dove tra le dune di sabbia si scorgevano le case degli Yhorj, la tribù che popolava quelle terre da milioni di anni e di cui lui faceva parte. Bussò a una porta e subito quella si aprì. Xandra lo fissava intensamente, era vestita con gli abiti tradizionali delle sacerdotesse del Dio Mhart, il dio dell'inganno e della magia. Era sdraiata sui tappeti che ricoprivano il suolo sabbioso della capanna e giocherellava con un piccolo di Kujh che era più grande di un gatto adulto. L'animale quando lo vide si mise subito in posizione di difesa proteggendo la madre.
– Gajart, Mewa, gajart. Qoh Cxan. Cson jek? –* "Calma, Mewa, Calma. È Cxan. Non lo riconosci?
Lo scorpione si voltò e guardò la donna con i suoi occhietti.
Cxan parlava poco la sua lingua madre perché sin da piccolo aveva abitato nel castello e lì nessuno parlava la lingua degli Yhorj, ma fortunatamente Xandra gli insegnava ogni tanto qualche parola per parlare con i membri della sua tribù, anche se preferiva passare in altri modi il tempo con lei. La sacerdotessa era l'unica che parlava la lingua comune e si esprimeva in modo raffinato, ma lui preferiva dialogare con lei diversamente, nella lingua che tutti sanno parlare.
Xandra si alzò e posò la piccola Mewa in una gabbietta fatta di arbusti intrecciati, andò verso Cxan, gli gettò le braccia al collo e lo baciò con trasporto.
– Finalmente mio Re sei tornato dalla tua Regina. –
Lui ricambiò il bacio e la strinse a sé.
– Ho avuto il tempo per venire da te mia regina, – si inchinò facendo dei piccoli cerchi con la mano; rialzandosi le baciò le dita delle mani e la guardò – ho sentito molto la tua mancanza.–
– Anche io. –
La donna ricominciò a baciare Cxan con passione, gli prese una mano e lo portò sul letto fatto di paglia e sabbia.
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Silenzio
FantasíaLui uno schiavo. Lei una principessa. Lo schiavo Arus non può parlare. Nel Regno delle Sabbie agli schiavi viene impedita attraverso un rito (il ricamo del silenzio) la possibilità di parlare. La principessa Tahlia è promessa in sposa al rude Re G...