03 | KARL MARX DEI POVERI

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03 | KARL MARX DEI POVERI

Due giorni dopo stavo cercando la classe nella quale si sarebbe tenuto debate.

Lombardi aveva vinto.

Ero abbastanza scazzata: non avevo pranzato, avevo i capelli flosci ed ero abbastanza sicura che la verifica di matematica che avevo fatto quella mattina fosse andata di merda. Ma stavo comunque andando al corso di dibattito, cosa che tutti ci saremmo aspettati che sarebbe successa. Potevo parlare di ribellione tutto il giorno, ma alla fine la verità è che non avrei mai avuto il coraggio di ignorare il volere divino del mio professore di filosofia. In fondo rimanevo sempre la sfigata e blanda brava ragazza con la passione per seguire le regole.

Cane abbaia ma non morde. Forse avrei dovuto cominciare a farlo.

Strinsi la bretella dello zaino, che avevo lasciato pendere pigramente dalla mia spalla destra, e mi guardai intorno un po' spaesata. Il secondo piano pareva deserto e le porte di tutte le aule erano spalancate, lasciando entrare nel corridoio una calda luce naturale. Era strano essere a scuola dopo la fine delle lezioni: aleggiava una quiete che non ero abituata a vedere nel mio istituto, di solito così rumoroso e affollato. Era come essere capitata sul set vuoto di un film.

Sbuffai ancora una volta e scrutai le classi, in cerca della 4B. Lombardi aveva indicato quella come luogo in cui si sarebbe svolto il corso pomeridiano, peccato solo che io non avessi avuto la geniale idea di consultare la piantina al piano terra e ora vivevo le conseguenze della mia stupidità. Proprio in quel momento il mio stomaco emise un brontolio che si sentì nel raggio di qualche chilometro. Ops.

"Che rottura di coglioni", borbottai prima di tirare fuori il telefono, sul punto di fare qualcosa di estremamente intelligente, ovvero andare sul sito della scuola. Forse Lombardi si era sbagliato e mi aveva dato un altro orario di un'altra cosa, fatto molto possibile dato che non c'era assolutamente nessuno su quel fottuto piano tranne me-

"Se stai cercando l'aula del corso di dibattito, è questa qui!"

Dio. Cristo. 

Vi ricordate quando dicevo che il secondo piano era una vasta piana desolata e io ero l'unica anima viva? Ecco. A quanto pare non era così. 
Sobbalzai, terrorizzata, e mi portai una mano al cuore. Avevo l'impressione che mi sarebbe uscito dal petto da un momento all'altro. E in tutto questo sarei anche inciampata, ma a quanto pare quello era uno dei miei giorni buoni. 

Mi voltai di scatto verso la voce, abbastanza scossa, e vidi un ragazzo, un ragazzo che mi sorrideva facendo capolino da una classe che avevo superato esattamente un paio di attimi prima, e per un attimo pensai di sbattere la testa contro un muro.

"Scusa, ti ho spaventata?", disse ancora, aggrottando leggermente le sopracciglia quando non risposi. Io lo fissai a bocca aperta, senza parole, e reprimmetti l'istinto di girare i tacchi e scappare. Perché quello non era un tizio a caso sconosciuto, no, certo che no.

Era Tommaso fottutissimo D'Alba. 
Ma porca troia. 

Una miriade di domande mi si rovesciarono addosso come un secchio d'acqua gelata. Che cosa ci faceva lui qui? Non faceva il rappresentate d'istituto a tempo pieno? Da quando i comunisti facevano dibattito? 

La risposta alla sua domanda era: no, non mi aveva spaventata. Mi aveva scosso qualcosa nel profondo del mio essere, perché di fronte a me si trovava uno che pensava di poter dare fuoco al Quirinale e risolvere i problemi del mondo. Un pericolo per la quiete pubblica, in breve, un pericolo per la quiete pubblica che io sopportavo meno di un'ulcera.

Tutte le cose che non ho dettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora