04 | L'ARTE DEL FARSI ODIARE

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04 | L'ARTE DEL FARSI ODIARE

Mi è sempre piaciuto pensare di essere una persona estroversa.

So che questa constatazione improvvisa potrà sembrare infondata (molto), soprattutto dopo che avete assistito alla mia prima conversazione in assoluto con Tommaso D'Alba, ma giuro che stare in mezzo alla gente mi piace. Di solito. La maggior parte delle volte. Quando non mi sveglio male. 

Non sono mai stata un animale solitario, anzi, io detesto stare da sola, lo detesto con la stessa intensità di come detesto le versioni di greco a prima ora. Se sto per troppo tempo da sola finisco per pensare un po' troppo, e questa cosa la maggior parte delle volte non è mai stata positiva. Stare invece in compagnia delle persone, dei miei amici, mi rassicura, come una tazza di cioccolata calda quando fuori dalla finestra infuria una tempesta di neve. Mi piace starmene con la testa appoggiata sulla spalla di Lisa e ascoltare Miriam e Edo che litigano per le solite cazzate, esultare quando Aurora vince per la centesima volta ad Uno contro Leo. 

Però non mi piacciono le feste e odio essere al centro dell'attenzione, sì. Sono consapevole che tutto ciò è poco coerente.

Di fronte a D'Alba però il mio presunto essere estroversa, impallidisce. 

"Raccontaci tutto!", esclamò Auri scuotendomi per le spalle il giorno dopo. Io, lei e il resto della banda ci eravamo trovati prima dell'inizio delle lezioni al Cherry di fronte alla scuola, un bar molto modesto e sobrio ma che per ciascuno degli studenti del Garibaldi costituiva una specie di porto sicuro, con il suo odore di caffè e lacrime (quelle causate da una prolungata permanenza nell'edificio di fronte. 

Non c'era molto da dire, sarò onesta, se non il fatto che Tommaso D'Alba probabilmente era sia estroverso al quadrato che falso al cubo. La mia analisi psicologica non mi fu molto difficile da comporre: già il fatto che avesse voluto fare conversazione con me, una persona visibilmente scazzata, era qualcosa di preoccupante. Non fu quello però ciò che mi lasciò inorridita. No. Quella era stata solamente la punta dell'iceberg. 

Il punto è che Tommaso D'Alba era stato in grado di fare conversazione con tutte e undici le persone presenti al corso, Lombardi incluso, nel giro di qualcosa come venti minuti spicciati. Era stato terribile assistere a quello scambio di battute, calcolato matematicamente tra sorrisi poco genuini e frasi fatte. 

"E' stato un pomeriggio provante", borbottai prendendo un sorso del mio cappuccino. "Ho ancora intenzione di denunciare Lombardi per la tortura alla quale mi ha sottoposto."

Miriam inarcò un sopracciglio. "Non può essere stato così terribile."
Persino Lisa sembrava perplessa.

"Il corso in sé non lo è stato. Erano i soggetti presenti nella stanza il problema", dissi poggiando la tazzina sul piattino con mano quasi tremante. Per un attimo mi trovai a fissare la brioche al cioccolato di Aurora e il mio stomaco brontolò. Mi sforzai a ignorarlo, giocherellando con l'orlo della mia maglietta dei Fleetwood Mac.
"Tipo?", chiese Edoardo, girandosi di scatto e ispezionando il locale, come se si aspettasse che il diretto interessato spuntasse nel bel mezzo del bar da una nuvola di fumo, invocato. Mi sporsi attraverso il tavolo per rifilargli uno scappellotto sulla testa. Accanto a lui Leo sorrise, senza staccare gli occhi dal telefono. 

"Ahia."

"Che cazzo fai, coglione", sibilai mentre lui si massaggiava teatralmente il capo, facendo il broncio come un bambino. Cosa azzeccata, per la sua età mentale.

"Stronza."

Aurora gli diede una gomitata. "Zitto, voglio sentire il gossip", disse sbattendo le sopracciglia lunghissime e poggiando una mano sotto il mento, in attesa. 
E che gossip, pensai sarcasticamente.

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