Capitolo 18 - Sangue e pallottole

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L'interno era polveroso e vecchio, ma a terra si potevano notare dei segni nella polvere, tra impronte di stivali e tessuto trascinato, partire dal portone chiuso e raggiungere il centro della stanza, dove una scala a pioli conduceva al soppalco pericolante. Alzando lo sguardo, Ben vide un sistema di carrucole con cui potevano essere facilmente issati oggetti pesanti dal piano terra al soppalco.

Ben afferrò la scala e, lentamente, tenendo sollevata la caviglia gonfia, si issò sul primo piolo. Facendo leva su entrambe le braccia, noncurante delle vertigini che la spossatezza aveva portato, raggiunse la cima della scala e si lasciò cadere sulla superfice del soppalco.

Sdraiato a viso in su, inspirò ed espirò parecchie volte, prendendo fiato e aspettando che passasse il giramento di testa. Poi si voltò e per poco non urlò dalla sorpresa: raggomitolata in un angolo come un cane bastonato, con i polsi e le caviglie legate, un bavaglio sulla bocca e i vestiti strappati, c'era Bertha.

Respirava affannosamente con gli occhi chiusi colmi di lacrime e pareva non essersi accorta della presenza di Ben finché questi non si fu avvicinato abbastanza da toccarla.

«Bertha», mormorò lui.

Lei sussultò, tenendo gli occhi chiusi e agitandosi, «Vattene, mostro!»

«Bertha, sono io, Ben.»

Lei, aprì gli occhi, empi di terrore e osservò il volto malato del giovane. Il respiro affannoso andò affievolendosi e la ragazza poco dopo si calmò.

Ben si trascinò al suo fianco e per prima cosa le tolse il bavaglio, scoprendo così un labbro ferito e gonfio.

«Che è successo?», domandò dopo che la ragazza ebbe finito di tossire sangue.

«Lo sceriffo mi ha condotta qui.»

Ben scosse la testa, amareggiato. «L'avevo capito. Aspetta, ti libero.»

La ragazza si mise a sedere e Ben le sciolse i lacci ai polsi.

«Che ha fatto alla mano? E alla caviglia? E cos'è quella camicia insanguinata?»

«Non c'è tempo», tagliò corto Ben, «Ti spiegherò tutto più tardi.»

«Dov'è mio fratello?», insistette la ragazza.

«Lui», si affrettò a rispondere, «Lui è rimasto al carro, poco fuori città. Ci sta aspettando.»

Dopo che anche le caviglie di lei furono liberate, bisognava trovare un modo per far scappare dall'edificio senza essere visti da nessuno.

«Ho raggiunto Coffeyville il prima possibile, ho lasciato il cavallo legato ad una staccionata poco fuori dalla strada che conduce a Ovest. Dobbiamo sbrigarci. Ecco, prendi il mio cappotto, copri il tuo vestito e resta a capo chino one evitare di farti riconoscere.»

La ragazza acconsenti ed insieme, aiutandosi l'un l'altra, scesero la scala a pioli e raggiunsero il piano terra.

«Come sei entrato?», domandò lei notando il portone chiuso e sbarrato.

«Dalla finestra», fu la risposta.

In quel momento si udirono due voci dall'esterno, provenienti da altrettanti uomini. Non era esattamente distinguibile cosa dicessero, ma il loro brusio fu sufficiente a far trasalire Bertha.

«Sono loro», mormorò la ragazza.

«Chi?»

Bertha arretrò e si nascose dietro una cassa di legno. «Quelli che mi hanno portato qui insieme allo sceriffo. Nasconditi, Ben, svelto!»

Il giovane la raggiunse e si accucciò al suo fianco, proprio mentre la catena che teneva chiuso il portone scorreva fuori dalle maniglie.

Le due grandi ante vennero aperte e i due figuri fecero il loro ingresso facendo tintinnare gli speroni ad ogni passo.

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