Capitolo 9

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Appena l'ascensore si ferma, ho appena il tempo di mettere piede sul pianerottolo, perché Sasha mi salta al collo per abbracciarmi

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Appena l'ascensore si ferma, ho appena il tempo di mettere piede sul pianerottolo, perché Sasha mi salta al collo per abbracciarmi.

«Scusami... Non volevo mandarti via» sussurra, con la voce spezzata. Ha pianto.

Ricambio la stretta, sentendo il suo corpo aderire al mio e trovando conforto nel profumo di fragola che mi ha avvolto insieme a lei. Ma non posso stringerla ancora di più, né accarezzarle la schiena, perché la busta mi impiccia.

«Senti, io entrerei. In casa, intendo, non dentro di te» puntualizzo con una battuta, a cui lei sussulta. Stava ridendo?

Si è nascosta contro il mio collo, mi respira addosso come se fossi il suo ossigeno. Cazzo, per lei sono davvero importante, più di quanto credessi.

La scosto, stringendo la guancia in una mano. Ha gli occhi arrossati.

«Dovevi mandarmi a fanculo, non piangere» le dico.

«Non piangevo per te, ma per me. O per tutti e due.»

La prendo per mano e torniamo dentro. Mi dirigo subito alla cucina, illuminata a giorno più di quanto lo fosse durante la colazione. Prendo un coltello per spalmare e svuoto la busta della spesa, da cui tiro fuori dei panini all'olio – i nostri preferiti. Come facevo quando lei stava male, per qualsiasi motivo. Quando veniva lasciata dal ragazzo di turno, o quando era lei a soffrire per la fine di uno dei suoi tanti amori – o anche quando aveva le sue cose e un po' di sana cioccolata faceva miracoli.

Mi raggiunge e si siede al tavolo, mentre io continuo l'operazione in piedi.

«Senti, Sasha... Non voglio costringerti a parlare, ma se mi rinfacci che sono sparito, significa che tu pensi che sia successo qualcosa, mentre invece per me ci siamo solo allontanati e basta. Può succedere, ma non vuol dire che non mi frega un cazzo di te. Di te mi frega sempre.»

Si imbroncia, con quell'aria ancora più bella. «Devo capire. Vorrei parlartene, ma... non ci riesco. Ogni tanto viene fuori solo perché non so stare zitta.»

«Se vuoi parlare, io sono qua.» Le passo un panino, mentre ne addento un altro appoggiandomi alla credenza.

«Tu...» Picchietta con le dita sul tavolo, pensierosa. Poi dà un morso e manda giù il boccone. La Nutella sembra darle la motivazione giusta a vuotare il sacco, perché mi guarda. Anche se io non so interpretare il suo sguardo e finisco a fissarla come un imbecille che le sbava dietro.

Come cazzo fa a essere bella anche con la bocca sporca di molliche e Nutella?

«Tu eri la persona che mi faceva stare bene» dice.

«Ero? Mi riporto via tutto!» scherzo, strappandole un mezzo sorriso. Meglio che farla piangere.

«Be', sì. Ora... non so se è lo stesso.»

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