Capitolo 2

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Stagione 3, Episodio 2 - Il richiamo del sangue

Nascosi il coltello dietro la schiena, entrai nella dispensa e chiusi la porta dietro di me. In quel momento Di Salvo si voltò a guardarmi e notò subito che nella mano destra tenevo un coltello affilato con la lama scintillante. Mi sorprese vedere che non provò neanche un secondo a scappare, anzi, si mise di fronte a me e mi guardò con aria di sfida, dimenticandosi del coltello che avevo in mano. Non esitai neanche un secondo e, prima che potesse spostarsi, sferrai due colpi decisi per colpirlo direttamente al cuore: al primo Di Salvo spostò di riflesso la schiena indietro, allontanandosi dalla lama di qualche centimetro, al secondo si sedette sul bancone della dispensa scivolando indietro e buttando a terra tutti gli scolapasta e le ciotole che poco prima aveva trovato.

Feci il giro del bancone e Di Salvo scese dal suo rifugio:

"Faccia a faccia?", mi disse in tono beffardo.

"Finalmente", gli risposi decisa. Volevo vederlo morire sotto ai miei occhi, perché solo così la morte di Ciro mi avrebbe fatto soffrire meno di quanto stesse già facendo.

"Ah, ah". Di Salvo ebbe il coraggio di ridermi in faccia anche di fronte alla morte che stava per venirselo a prendere, e così saltai sopra al bancone per avvicinarmi a lui che nel frattempo l'aveva usato come scudo.

"Non è così che ti passa il dolore, piccolina, fidati di me", mi disse guardandomi negli occhi.

Ma cosa poteva saperne lui di me e del mio dolore? Cosa ne sapeva dei demoni che mi stavo portando dentro per colpa sua e della sua famiglia, di quello che avevo dovuto sopportare fin da bambina? Anche lui, come tutti gli altri, aveva avuto la presunzione di chiamarmi "piccolina" e di provare a spiegarmi la vita, ma io della vita sapevo già tutto.

"Perché tu hai il cuore tenero, ma io non sono come te", gli risposi avvicinandomi a lui piano piano e stringendo il coltello fra le mani. Doveva saperlo, doveva ricordarsi per sempre che io e lui non avevamo nulla in comune.

"Ah no?!", mi disse ridendo, e mentre sferrai il terzo colpo, mi bloccò le braccia e mi gettò con forza sopra al bancone facendomi sdraiare. Si mise poi accanto a me, senza lasciarmi mai i polsi.

"E come sei tu? Eh?", mi chiese Di Salvo insistendo a farmi parlare per niente, sapevo che era un modo per distrarmi, "tu sei una Ricci", continuò avvicinandosi al mio volto "tu uccidi, giusto? Hai la cazzimma, è questo che ti hanno insegnato, vero?".

A tutte queste domande mi limitai a rispondere annuendo con decisione, perché ero concentrata a trovare un modo per staccarmi dalla sua presa sui miei polsi e sferrare un altro colpo.

"Uccidimi, perché tanto io ci provo un'altra volta", gli dissi sperando che lui ci cascasse e mollasse la presa, e mentre mi ascoltava parlare incuriosito, gli mollai una ginocchiata sul fianco facendolo cadere dal bancone.

Scesi immediatamente e, prima che si rialzasse, sferrai l'ennesimo colpo deciso, di nuovo dritto al cuore. Ma di nuovo lui mi bloccò le braccia e mi spinse contro l'unico stralcio di muro libero della dispensa. Era di fronte a me, entrambi eravamo senza fiato. Vidi i muscoli delle sue braccia in tensione mentre mi teneva bloccati i polsi. Le braccia piegate in alto e ferme contro il muro mi facevano male, ma cercai comunque di non mostrare nessun cedimento.

"Non è così che ti passa il dolore", mi disse di nuovo, stavolta con un tono più dolce e quasi sottovoce, come se mi stesse raccontando un segreto che solo io dovevo sentire.

"Io voglio vedere il tuo sangue per terra, e prima o poi ci riesco", gli risposi, stanca di resistere in quella posizione, consapevole che ormai avevo perso, ma ancora convinta che ucciderlo fosse l'unica cosa giusta da fare.

Sull'altra sponda del mare (Carmine e Rosa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora