Apro gli occhi. Cupi e mesti si presentano ad un mondo buio e silenzioso. Il cielo è un mantello di tenebra privo di stelle; mi fa sentire avvinghiato da una mano crudele e senza forma. La neve cade nera come carbone. Sono steso, ma non ricordo quando mi sia steso; ho perso i sensi, non riesco ad alzarmi; il corpo mi appare pesante una tonnellata.
Ascolto i miei pensieri, assente. Mi domando quando mi sia desensibilizzato alla vita; ricordo fosse la cosa più importante per me. Quando ho scritto quel diario non volevo morire, ma non volevo vivere più. Avrei voluto viaggiare di più, cantare, danzare, invece nella culla delle riflessioni mi sono ridotto al fantasma di me stesso; ho vagabondato sulla Terra finché il dolore mentale non mi ha sopraffatto e tolto ogni istinto di conservazione. Ogni dolore fisico era diventato il testimone che potessi provare ancora qualcosa di vero; mi domando se l'abbia mai provato. Nella mia vita non ho provato altro che confusione. Ho domandato a Dio cosa fosse qualcosa di vero. Mi chiedo quando abbia capito che Dio fosse la mia coscienza.
Avrei voluto avere il coraggio di quando ero un bambino; avrei voluto continuare a vivere, ma non sono mai stato forte come mio padre; non ho avuto lo spirito di sacrificio di mia madre; non ho avuto una mente promettente come quella del mio fratellino.
Mio padre anche se non me lo diceva ha sempre creduto in me; mi domando se abbia imparato così il significato dell'odio, perché io non gli ho mai creduto. Non ho eseguito altro che una tirannia nei confronti di me stesso, finché non mi ha reso trasparente, finché la tirannia non si è tramutata in un buco nero che ha assorbito la mia vita; il buco nero è diventato Dio.
Mi sono rifugiato nei sogni per dimenticarmi di Dio; forse sono stato solo uno stupido.
Inizio a ricordare la risata di Elena; mi sta pugnalando l'anima. Sento la sua voce chiamarmi e le lacrime scendere, perchè il mio piccolo angelo oscuro è tornato da me.
