Lunedì trenta ottobre.
Non so come iniziare questa stupidaggine. L'espressione dei miei pensieri è qualcosa di stupido. L'idea di scrivere è un'idea stupida, come ogni mia idea. Tutto quello che scriverò sarà stupido. È uno di quei giorni.
Ho pensato spesso se scrivere o lasciare ogni mio pensiero in un angolo poco luminoso, appartato, lontano dagli sguardi. Alla fine, i pensieri si dispiegano sotto i miei occhi uno dietro l'altro, un effetto domino dalla velocità allucinante. Sono il testimone dei miei pensieri che si succedono, il giudice di me stesso; sono Enma, sono Minosse, porto allo scoperto i miei segreti su pagine altrimenti pure, che sporco con il mio essere ingiustificabilmente me.
Ammetto, però, che sotto sotto mi mancava questa curiosità nei confronti della mia mente, perché non sono in grado di dire con certezza cosa caccerà fuori.
Partiamo dall'inizio. Mi presento, perché in questo periodo mi sento di star perdendo la mia identità. Sto cercando... di ricordare. Sono venuto alla luce in un ospedale qualsiasi in una città che con il tempo ho imparato a detestare. Sono uscito dalla vagina di mia madre senza un difetto fisico, per fortuna o mio malgrado, perché forse se avessi avuto un difetto fisico avrei avuto una scusa effettiva per lamentarmi della mia vita. Dovrei partecipare alla danza della vita; dovrei essere felice: possiedo due gambe, due braccia, due occhi.
Il mio nome non ha importanza; nessun nome ha importanza. Nessuna cosa che non scegliamo ha importanza. Ho ventun anni, ma sono cresciuto soltanto per quanto concerne i lineamenti del mio volto pallido e la mia altezza; mentalmente sono miserabile.
Non sono come un hikikomori giapponese. Lavoro, ho il mio circolo di amicizie, campo in un appartamento nel centro della città. Ma con tutta sincerità, non me la cavo bene. Quando sono a letto, non dormo, chiudo solo gli occhi; quando dormo, ho gli incubi. Quando abbasso le palpebre, spegnendo il mondo, cerco di ritardare quanto possibile quel momento dove riprendo coscienza, perchè la mia mente è l'inferno.Martedì trentuno ottobre.
Scrivo la notte quando è vuota, labile e trascurabile. Se passasse una stella cadente adesso, desidererei che la pelle mi venisse strappata; urlerei a squarciagola, ma poi toglierei con le unghie i pezzi rimasti. Ma nessun urlo può interrompere questa realtà che corre via. Quando respiro, sto peccando. Mi sento il cuore battere forte. Ha sempre fatto così. Ho il cuore infantile e maledetto.
Sisifo, come fai? Dopo una certa non ti scocci di trasportare quel masso?Mercoledì primo novembre.
La vita mi ha dato delle gioie. Non sarei sincero se non lo dicessi. I miei ricordi più felici sono di quando ero bambino; quando ero piccolo, ero meraviglioso. Poi, non lo so.
Di me stesso non apprezzo niente. Possono farmi qualsiasi complimento, ma non lo approvo e non cambia come mi vedo. Mi vedo patetico.
A volte penso che se mi sentissi voluto da qualcuno, mi sentirei con un po' più di valore. Ma non c'è nessuno al mio fianco, né vivo né morto. I morti non ti stanno vicini. Sono morti. Non c'è mai stato nessun Dio che mi abbia accompagnato durante la notte mentre tornavo a casa fatto a pezzi. Solo il silenzio.
Non merito nessun complimento. Voglio allontanarmi da tutti.Giovedì due novembre.
Sei bravo solo a fumare. Sei bravo solo a mangiare. Sei bravo solo a lamentarti. Tu, disgustoso pervertito. Quando ti farai una ragazza? Quando ti prenderai una laurea?
Sono tornato all'alba, da poco. Turno notturno. Una botta di cocaina prima di attaccare. Sono un instancabile lavoratore. Ma avrei voluto essere un artista.Domenica cinque novembre.
Qualche volta riconosco che il mio cervello va a pezzi, mi lascia con giorni privi di colore e pieni di brividi. Provo troppo quando vedo attorno troppa superficialità. Ho paura della vita come un bimbo nel buio. Copro le mie giornate di bugie chiedendomi se questa cosa sia giusta. In certi momenti, se avessi il potere di farlo, spegnerei tutte le stelle del cielo. Non voglio qualcuno che mi salvi; non voglio pietà, commiserazione e comprensione. Capisco sia uno stigma, che sia egoista ed orrendo e mi manterrò in vita, che la vita è preziosa, ma in certi giorni idioti e tristi, mi perdo in spirali e vorrei essere morto.
I miei amici sono state le uniche persone che mi abbiano mai fatto dimenticare per qualche ora il dolore. Mi hanno dato speranza. Non posso che esserne grato. Però ultimamente mi sento disconnesso persino da loro.
Se avessi avuto una testa diversa ed esperienze diverse, avrei avuto tatuaggi diversi; forse dovrebbero iniziare a piacermi.