Capitolo 33 - Kraz

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Una volta deciso il da farsi, raggiunsero una scaletta che portava alla metropolitana e uscirono da una botola nascosta dietro un grosso pilastro in cemento. Per fortuna non era bloccata, forse per permettere agli operai un veloce accesso per i lavori di manutenzione o, forse, perché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di calarsi là sotto. Si trovava in una zona buia e appartata, e non scorsero anima viva quando spuntarono fuori dal pavimento. L'aria era fredda e ricordarono che ormai dicembre era giunto da un pezzo, portando con sé venti gelidi e giornate ancora più corte.

«Dovremmo comprarci un paio di giacche» suggerì Clay, analizzando l'ambiente circostante. «Con queste camicie leggere diamo troppo nell'occhio. Senza contare che fa un freddo assurdo.»

Shin concordò, guardandosi attorno spaesato man mano che avanzavano. C'erano decine e decine di persone che aspettavano lungo i binari della stazione della metropolitana. Erano tutti immuni, stretti nei loro cappotti e stanchi per la giornata di lavoro.

«Non possiamo tenerci per mano» sussurrò Clay, osservando il compagno, «ma cerchiamo di non perderci.»

Il biondo aveva notato lo sguardo dell'altro. Era tutto nuovo per Shin. Persone annoiate che aspettavano di tornare a casa, il cui unico pensiero era cosa cucinare per cena o ricordarsi di pagare le bollette. Un mondo diverso, calmo, sicuro. C'erano luci a ogni angolo, cartelloni pubblicitari e monitor sui pilastri e le pareti. Addobbi colorati e lucine intermittenti decoravano muri e vetrine.

Shin pareva un bimbo spaurito, gli occhi spalancati che fissavano ogni dettaglio.

Presero le scale mobili per andare al piano di sopra e Clay avvertì la mano di Shin stringergli la manica della camicia. «Perché ci sono tutte queste luci? È... è sempre così?»

Clay non sapeva cosa rispondere. Erano anni che viveva fuori dal Confine, ormai, e la sua esperienza dentro lo Stern era probabilmente diversa da quella che si immaginava Shin. Aveva passato quasi tutta la sua infanzia dentro ai Laboratori di Kraz. Ciò che conosceva del mondo lo aveva visto attraverso la mente di sua madre e di Hannele.

Una volta raggiunta la strada, lo stupore raddoppiò. C'erano grattacieli imponenti, negozi, insegne, luci di svariati colori e una musica che proveniva dalle casse appese agli angoli delle vie. Centinaia di persone attraversavano la strada, assorte nei loro pensieri, con lo sguardo fisso sui cellulari o sui generatori di ologrammi che tenevano in mano. Le macchine erano in coda e procedevano piano in mezzo al traffico della città.

Shin si fermò, incapace di muovere un altro passo.

«Ehi» lo chiamò Clay, ma l'altro non rispose. Gli si parò davanti per attirare la sua attenzione. «Shin, dobbiamo muoverci. Cerchiamo un paio di giacche e andiamo all'appartamento.»

«Sei tu» mormorò Shin, fissando oltre il compagno.

Clay corrucciò le sopracciglia. «Cosa?»

Shin gli fece un cenno col mento, indicando qualcosa di fronte a loro. Il biondo seguì il suo sguardo e li vide: c'erano diversi monitor che mostravano la sua faccia. Il titolo, grande e in rosso, riportava: "Disertore in fuga, in caso di avvistamento segnalare alla polizia". Un attimo dopo, la foto sparì, e apparve invece quella di Shin con la medesima scritta.

«Cazzo!» sbottò il biondo, «dobbiamo andarcene subito!»

Shin si riscosse e attraversarono la strada. Tennero lo sguardo basso, cercando di non farsi notare. Raggiunsero una zona priva di telecamere, una piccola via che dalla strada principale si immergeva in una stradina tra gli edifici imponenti.

«Va bene. Ho un'idea» dichiarò Clay, posizionando Shin all'ombra, accanto al muro di cemento di un palazzo. «Io entro un attimo in quel negozio» annunciò, indicando col dito un negozietto di vestiti da uomo. Un abete addobbato con decine di palline colorate campeggiava in vetrina. «Tu aspettami qui. Insieme daremmo troppo nell'occhio.»

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